La Chicchetta - 111

martedì 31 marzo 2009

Disoccupato e disfattista



L'incubo della disoccupazione inizia a far paura.

Secondo recenti dati diffusi dall'Istat circa 370 mila lavoratori hanno perso il posto nei primi due mesi del 2009.

I costi sociali della crisi cominciano a diventare vistosamente pesanti. Già il boom dei ricorsi alla cassa integrazione, cresciuti in poche settimane di oltre il 500 per cento, ha dato un forte segnale di allarme. Ma un record negativo ancora più preoccupante si è registrato sul fronte della disoccupazione vera e propria: secondo i dati Inps, nel solo bimestre gennaio-febbraio, più di 370 mila lavoratori hanno perso il posto. Le cifre di marzo non sono ancora disponibili, ma si sa che le code agli sportelli dell'istituto di previdenza non si stanno accorciando. Di questo passo rischia di risultare ottimistica perfino la stima di Confindustria, secondo la quale, nel corso dell'anno, oltre 600 mila italiani dovrebbero essere licenziati dalle rispettive aziende. Ciò significa che il Paese si trova dinanzi a un'emergenza economico-sociale di straordinaria gravità: altro che far fatica a superare l'ultima settimana del mese, per milioni di italiani i problemi cominciano dalla prima. Nessuno pensa, naturalmente, che una simile ecatombe di posti di lavoro possa essere imputata al governo in carica: a tutti sono evidenti le origini, più esterne che interne, di una crisi di dimensioni planetarie. Quel che lascia, però, sbigottiti è che tanto il presidente del Consiglio quanto i suoi ministri non mostrano di avere la consapevolezza necessaria ad affrontare una situazione così drammatica. L'unica linea seguita dal governo Berlusconi sembra essere quella di negare o comunque nascondere la realtà. A chi gli chiedeva un'opinione sui 370 mila disoccupati in più di gennaio-febbraio, il ministro Tremonti ha risposto: "Lei fa domande di carattere ansiogeno, le faccia a casa sua, non con me". Mentre il suo collega Sacconi ha così commentato: "La dimensione della crisi può essere accentuata dal disfattismo di coloro che esasperano le previsioni e così incoraggiano la propensione al rattrappimento dei consumi, della produzione e dell'occupazione".
Insomma, l'Italia potrà uscire dalla crisi, come Berlusconi non si stanca di predicare ogni giorno, soltanto quando giornali e televisioni smetteranno di parlarne ovvero di rendere pubblici dati 'ansiogeni' o 'disfattisti'. Aggettivo quest'ultimo che rievoca, fra l'altro, una stagione politica fra le meno felici della storia patria. Il bello è che il premier e i suoi ministri si dicono pure convinti che questo rifiuto a guardare in faccia la realtà sia la strada migliore per spronare gli italiani a ritrovare la fiducia perduta, senza rendersi conto che il loro ottimismo stereotipato suona come un insulto crudele per milioni di famiglie in serie difficoltà. Nella tragedia sociale incombente si inserisce così un aspetto tristemente comico che - come si è appena visto nel caso della vigilanza prefettizia sulle banche - sta diventando ormai la chiave prevalente nei provvedimenti del governo.

Aspettiamoci, a questo punto, che fra i prossimi decreti-legge ne salti fuori anche uno che obblighi ad appendere in ogni fabbrica od ufficio un cartello con la scritta: "Qui non si parla di economia, qui si lavora". Firmato: Berlusconi. Chi non avrà perso il posto, potrà farsi almeno un'amara risata.


By Angelo Stelitano


La Chicchetta - 110

lunedì 30 marzo 2009

Anche i manager paghino la crisi



Gli ultimi episodi accaduti in Francia e all’ex CEO di Rbs, Fred Goodwin, portano a riflettere che stiamo assistendo ad una rivoluzione “morale” e popolare in merito all’ingiustizia sociale spesso vissuta all’interno di grandi organizzazioni d’impresa e banche.
E questo si fonda su due punti essenziali, ovvero l’assenza di regole che privilegino il merito e la possibilità che alcuni manager o presunti tali di porre in primis l’interesse a soddisfare il bisogno di arricchirsi, rispetto al valore che il benessere generale di chi lavora ha nei piani di questi manager. Troppi privilegi, stock options, e la gente non capisce perchè questi personaggi debbano andarsene con liquidazioni milionarie dopo aver fatto fallire le imprese. Possono esserci delle giustificazioni di carattere giuridico-contrattuale, ovvero che quello che si verifica non è altro che il risultato di accordi avvenuti a monte e sanciti in contratti scritti. Ma in questo caso non vedo la grande lungimiranza della veste padronale, che si accanisce con i deboli, gli operai e i precari senza tutela, ma mostra la sua debolezza verso chi astutamente ha organizzato al meglio la sua posizione blindandosi economicamente di fronte ad eventuali disastri che siano o no riconducibili alla sua gestione.
E’ il doppio volto del capitalismo moderno, che ha bisogno di un grande momento di riflessione per puntare ad una sua riorganizzazione verso forme di impresa più partecipata e cooperativa anche dal punto di vista della distribuzione degli utili, delle responsabilità e dei meriti. Troppo facile dedicarsi al pianto riparatore per avere la consolazione finanziaria degli aiuti di stato, quando per i lavoratori le minime tutele sono frutto di lotte sindacali di anni e anni.
La moderna visione d’impresa ha messo nel cantiere l’accentramento del potere, per lasciar spazio alla distribuzione del potere, dando un ruolo di responsabilità a chi lavora, e non a chi sfrutta il lavoro altrui.


By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 109

venerdì 27 marzo 2009

Sessanta miliardi da spartirsi
E' il progetto più cemento per tutti

Nuova campagna elettorale del Cav. all'insegna di «più cemento per tutti». Ma non viene da ridere, alla luce di quello che si sta preparando sul fronte della manomissione del territorio con il cosiddetto "piano casa", in forma di un decreto governativo già pronto e in arrivo con la motivazione della necessità ed urgenza, fuori da ogni confronto parlamentare, non appena si sarà conclusa la liturgia della Conferenza Stato-regioni. Un progetto per deregolamentare una volta per tutte quello che rimaneva in piedi del sistema di tutele del patrimonio ambientale, dei beni culturali, dei vincoli archeologici, dei beni demaniali intangibili, delle salvaguardie paesaggistiche, di recupero e riuso dei centri storici. L'obiettivo del governo, per contrastare la crisi economica e stimolare una presunta ripartenza dell'economia, è quello di avviare un processo che tra ripatrimonializzazione delle aree, aumenti volumetrici, attività edilizie, eccetera, dovrebbe essere in grado di generare affari per circa 60 miliardi di euro (80 secondo il Centro studi Cgia di Mestre ) con quasi dieci milioni di immobili interessati e 490 milioni di metri quadrati aggiuntivi, stando alle valutazioni del Cresme, il Centro ricerche economiche sociali e di mercato per l'edilizia e il territorio, secondo il quale, se non dovesse partire il progetto governativo, il mercato immobiliare e il settore delle costruzioni potrebbe subire per il triennio 2008-2010 «una drammatica caduta delle nuove costruzioni residenziali, misurata nel 30% in tre anni». Ecco allora il governo - molto sensibile a tutto quello che avviene nell'edilizia, grandi opere, privatizzazioni del patrimonio pubblico - apprestarsi a varare il famigerato decreto sventolando la bandiera bianca di milioni di italiani "bisognosi" che così potranno rivalutare i loro beni immobili, persino disponendo delle volumetrie "inutilizzate" del vicino, con milioni di terrazzini sbarrati, sopraelevazioni pencolanti, ville e villette esorbitanti, ballatoi privatizzati e camerette aggiuntive, salotti-serre o cucine-tinelli costruite negli spazi comuni. Un delirio edilizio di cui francamente non si avvertiva il bisogno, dopo anni di condoni e sanatorie tombali con cui si è consentito lo scempio ambientale e il dilagare dell'abusivismo.Adesso si vuole consentire fino a un terzo di volumi in più, con l'abbattimento degli oneri di urbanizzazione, iva agevolate per le ristrutturazioni, recupero fiscale sugli "ammodernamenti". Il tutto spalmato su un patrimonio edilizio che l'Agenzia del Territorio misura in 31.428.721 immobili (catastati, dunque censiti, dunque solo quelli "regolari") suddivisi tra abitazioni «signorili, civili, economiche, popolari, ultrapopolari, rurali, villini, ville, castelli e palazzi, alloggi tipici», intendendo anche chalet, masi, dammusi, trulli.Dietro la bandiera bianca dell'aumento delle cubature "di necessità" è bene non dimenticare che sventola ben più poderosa la bandiera nera dei corsari della grande edilizia, dei grandi progetti, dei grandi lavori, del grande calcestruzzo, del grande mercato immobiliare. Tutta gente che ha un nome e un cognome, o una ragione sociale ben identificabile. Non a caso su Panorama del 19 marzo Bruno Vespa ha scritto: «Sull'edilizia Berlusconi ha le carte in regola e il piano casa potrà portare a un grande rinnovamento, urbanistico ed energetico». Italia Nostra e Legambiente non sono affatto d'accordo. In un comunicato allarmatissimo rivolgono «un pressante appello al governo, al Parlamento, al Presidente della Repubblica, affinché il programma per l'edilizia enunciato non venga approvato nella forma sbrigativa del decreto legge con cui si impone alle Camere di ratificare un provvedimento tanto complesso senza discuterlo». Trattandosi di principi fondamentali in materia di governo del territorio, oggetto di legislazione concorrente tra Stato e regioni, le associazioni ambientaliste rilevano che «si deve escludere che ricorra il caso straordinario di necessità e urgenza che legittima il governo all'assunzione di potestà legislativa, tanto più se fossero previste modifiche peggiorative al Codice dei Beni culturali e del paesaggio, in una materia che ha copertura nell'articolo 9 della Costituzione». Tra le altre cose, particolare allarme suscita la «prevista assoluta liberalizzazione delle opere interrate nella elevatissima misura del 20% del volume dei fabbricati esistenti, quando invece l'edificazione sotterranea esige rigorosi controlli di fattibilità e sicurezza, specie nelle aree urbane storiche».La corsa al mattone però è cominciata da tempo, e ha ridotto la superficie totale di aree libere dai 21.446.040 ettari del 1990 ai 17.803.010 ettari nel 2005, con una perdita di oltre il 17% delle aree libere e tre milioni e mezzo di ettari "costruiti" in quindici anni. L'Espresso del 19 marzo scrive che l'industria delle costruzioni, tra attività edilizia e mercato immobiliare, si è rosicchiata oltre il 45% della Liguria e il 26 della Calabria; a "pari merito" il 22% del territorio disponibile dell'Emilia Romagna e della Sicilia; il 19 del Lazio, il 18 di Piemonte e Lombardia; oltre il 17 di Abruzzo e Molise, più del 16 della Puglia;
e il 15% delle belle colline toscane e delle pianure campane.

E non c'erano 60 miliardi da spartirsi.



By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 108

giovedì 26 marzo 2009

L'illusione al potere


La forza del governo è l'assenza di una linea politica, sostituita da ricette e idee estemporanee. Berlusconi e il centrodestra non rappresentano infatti alcuna ideologia. Sarà la consapevolezza per cui è lunghissimo il tempo necessario prima di avere a disposizione una rivincita elettorale. Sarà pure la sensazione che l'opposizione è in difficoltà permanente, perché nulla nuoce alle forze politiche, in questa tarda modernità dove si conta molto o non si conta nulla, più dello stare fuori dal circuito del potere. Ma il sospetto che circola è che la società italiana si stia abituando a Silvio Berlusconi, e al suo stile di governo, ciò che va sotto il nome di berlusconismo.
Adesso lo si è capito: Berlusconi e i suoi uomini non rappresentano nessuna ideologia o linea culturale.
Il liberismo sbandierato a lungo è diventato un antiliberismo cauteloso, gestito soprattutto dall'abilità di Giulio Tremonti, un maestro nell'instillare negli altri, alleati e avversari, acuti complessi di inferiorità. In questi ultimi tempi, la statura politica di Tremonti è molto aumentata, la sua capacità di descrivere l'andamento della crisi lo ha reso più credibile, e anche alcuni suoi provvedimenti, come i Tremonti bond, nonostante alcuni limiti tecnici difficilmente comprensibili, legati a un tasso d'interesse troppo elevato per le banche, sono apparsi una risposta significativa alla crisi del credito. Non conta che le doti predittive del ministro dell'Economia siano state contraddette dalle sue misure empiriche (tipo la tassazione sui sovraprofitti delle banche, la Robin Tax, che ora ha assunto un risvolto grottesco). In questo momento la forza del berlusconismo è rappresentata dalla sua sostanziale assenza di linea politica. Soltanto con sforzi analitici immani sarebbe possibile ricostruire la girandola di provvedimenti veri e presunti che dovrebbero avere movimentato risorse per reagire alla crisi economica. Tanto per dire, la crisi è stata a lungo negata. Poi minimizzata. Attribuita ai processi "autoavverantisi" della comunicazione globale. Adesso, mentre tutto il mondo cerca soluzioni per fare riprendere la circolazione del sangue nel corpo irrigidito del capitalismo tardomoderno, qui da noi Berlusconi ha lanciato un progetto di sostanziale liberalizzazione dell'edilizia, basato sul principio di buon senso antico secondo cui "quando va bene l'edilizia va bene anche tutto il resto". Se si tratti di un provvedimento salutare lo diranno gli economisti, e se si tratti di un rischio di totale cementificazione del Paese lo chiariranno gli ambientalisti e i tecnici. Nel frattempo però non può sfuggire l'idea che siamo in presenza di una vera e propria invenzione estemporanea: di quelle idee che si formulano di solito nei bar, dove c'è sempre qualcuno che possiede la formula per risolvere problemi estremamente complessi con soluzioni infinitamente semplici. Semplici sono le soluzioni di Berlusconi, le formule della Gelmini, le ricette di Brunetta. È probabile che non ne funzionerà neanche una, così come non ha funzionato l'invenzione paternalistica della social card, fallita in una serie di traversie tecniche e demografiche. Ma nello stesso tempo si ha l'impressione che proprio la sostanziale mediocrità operativa del governo e dei ministri risulti ben accetta a una parte consistente dell'opinione pubblica. Il governo usa infatti la tecnica manzoniana del 'troncare e sopire', addormenta i conflitti, li orienta verso obiettivi facilmente identificabili come la Cgil, rassicura a parole e con il controllo sempre più stretto della televisione. Trasmette un messaggio che dice: "Va tutto quasi bene". Il governo lavora, progetta riforme straordinarie, "e grazie alla deflazione gli italiani hanno nel portafogli qualche euro in più". Poi la crisi diventerà più acuta, le riforme straordinarie risulteranno un papocchio, e la crisi si farà sentire di brutto. Ma a meno di catastrofi sociali non augurabili, il consenso non ne risentirà, perché a Berlusconi è riuscita l'operazione di accorpare intorno al Pdl la vecchia Italia corporativa, che non desidera cambiamenti e anzi li teme.Per scalzare il consenso del blocco berlusconiano ci vuole una fantasia e una forza politica che il Pd non ha. Detto con parole più ottimistiche: non ha ancora. Ma per risultare minimamente competitivo, il Pd deve formulare un progetto semplice e moderno, capace di mobilitare il consenso dei propri elettori (anche dei delusi, i senza patria, gli esuli, come li ha chiamati Ilvo Diamanti su 'Repubblica') e di parlare a tutto il Paese. Se il centrosinistra non riesce a offrire un'idea alternativa di società, e un'idea convincente, Berlusconi vincerà sempre a mani basse. Perché a sinistra si è sempre scommesso sull'esistenza possibile di un'Italia migliore.
Mentre ogni giorno che passa Berlusconi dice agli italiani: "Lo vedete, sono uno di voi".

By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 107

mercoledì 25 marzo 2009

Addio vecchio termometro

Compagno di tante influenze, sempre pronto sul comodino quando si ha la febbre, presto non sarà più in vendita: si tratta del caro vecchio termometro al mercurio, al quale dovremo dire addio a partire dal prossimo 3 aprile. Da questa data entrerà infatti in vigore il decreto ministeriale del 30 luglio 2008, emanato in attuazione di una Direttiva della Comunità europea. Il motivo di tale decisione, presa in via precauzionale, risiede nel fatto che non esiste ancora una raccolta differenziata dei termometri al mercurio (come per le batterie). Il rischio è dunque che finiscano nei rifiuti, che il mercurio danneggi l’ambiente e, a lungo andare, anche la salute umana. Chi ha però ancora il vecchio termometro in casa, non ha motivo di preoccuparsi e può tranquillamente continuare ad utilizzarlo. La norma riguarda infatti solo i termometri che verranno fabbricati e, anzi, non si applica a tutti gli oggetti contenenti mercurio che risalgono a più di 50 anni fa. Inoltre, il mercurio confinato nel termometro non è pericoloso; lo diventa piuttosto se si ingerisce, tant’è vero che nei pesci è tollerato al massimo di un milligrammo ogni chilo (a rischio sono soprattutto i pesci grandi che sono al vertice della catena alimentare).

Se poi c’è chi preferisce disfarsene, può farlo, ma, badate bene, non gettandolo nell’immondizia, bensì consegnandolo in farmacia o nei punti ecologici del proprio comune.



By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 106

martedì 24 marzo 2009

L'era dei soldi veri, finti, futuri, reali e virtuali


La Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia aveva chiesto al Governo aiuti per le piccole e medie imprese con una precisazione interessante. Che denota un filino di diffidenza verso la creatività altrui. Aveva puntualizzato che ci volevano soldi veri. Evidentemente voleva evitare che venisse approntato qualcosa di diverso. Escludiamo per fiducia che la Presidente temesse di veder assegnare finanziamenti sotto forma di banconote false, rimangono ancora molte possibilità. Ad esempio i soldi possono essere finti, (cioè dichiaratamente non veri) come quelli del Monopoli. Utilissimi per far pratica, e per le recite a teatro, ma poco utili in altri ambiti. Possono essere immaginari, cioè esistere solo nella fantasia. Che so, come i crediti galattici, e i tre ettari cubici di monete di Paperon de Paperoni. Vero che per fare gli imprenditori ci vuole una gran dose di fantasia, ma di sicuro non in questo senso. Poi ci sono i soldi virtuali (quelli dei videogiochi), i soldi futuri (quelli che devono sempre arrivare) i soldi delle proiezioni (che di solito sono proiettati così lontano che non si arriva mai a toccarli). E ancora i soldi frutto dei conti senza l’oste, e quelli ricavati dalla vendita della pelle dell’orso. L’importante, nel chiedere soldi veri, è non far l’errore di chiedere soldi reali.

Certe idee, al Nostro Presidente del Consiglio, è meglio non fargliele venire.



By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 105

lunedì 23 marzo 2009

E’ in gioco la libertà di manifestare


Proprio nel giorno dello sciopero e delle belle, importanti manifestazioni della Cgil in difesa della scuola, l’attacco della polizia contro gli studenti della Sapienza non può che allarmarci, come donne e uomini democratici. Gli studenti in questi mesi hanno dimostrato con le loro forme e una specifica creatività che quando elementi di fondo costitutivi del compromesso costituzionale vengono messi in discussione – qui la scuola pubblica, laica ed inclusiva, come in passato l’articolo 18 o le pensioni pubbliche – una risposta democratica si delinea. Un attacco agli studenti nel corso di uno sciopero della scuola sembra volere proprio ostacolare la saldatura fra tutti coloro che partecipano ai problemi della formazione che ha caratterizzato i mesi più recenti. Ma ormai questo uso violento delle forze dell’ordine contro manifestazioni che esprimono democraticamente idee, bisogni, forme di organizzazione che hanno avuto in passato piena cittadinanza nelle nostre piazze sta diventando sempre più frequente. Il 2009 è iniziato con un attacco agli operai della Innse di Milano, e con le cariche contro quelli di Pomigliano, impegnati in una lotta tenace per difendere il loro lavoro e la presenza di attività produttive di fondamentale importanza per la vita di intere comunità. Sempre più spesso vengono aggrediti cortei di lavoratori, che dagli anni Sessanta si erano emancipati dal ruolo di “nemico interno” loro assegnato negli anni di Scelba. Manifestazioni di gruppi violenti e pericolosi come Forza Nuova vengono sottovalutate o addirittura difese. Intanto accordi separati che escludono la Cgil e progetti miranti a mettere in discussione il diritto di sciopero quale si è potuto esercitare nel contesto concreto delle nostre relazioni industriali minacciano di ridurre il sindacato ad inerte simulacro, ad associazione erogatrice di servizi ed organizzatrice di enti bilaterali. La sottovalutazione del rischio costituito dal neofascismo, l’attacco a quella forma specifica delle società liberali – ancor prima che delle conquiste democratiche – che è il conflitto organizzato fra interessi collettivi, l’aggressione fisica alla manifestazione di questo conflitto: tutto questo configura una situazione ora strisciante ora esplicita e rivendicata di riduzione della democrazia che invece può essere solo piena e intera.

L’uso delle ronde, l’attacco a nomadi, stranieri, concittadini visti come “diversi” sono l’altra faccia di questi preoccupanti segnali istituzionali che tutti convergono nel costringere ognuno a difendere se stesso e i propri spazi, impedendo quella consapevolezza collettiva dell’allarme per la democrazia che contribuirebbe anche a contrastare gli effetti delle campagne securitarie.


By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 104

venerdì 20 marzo 2009

Papa Ratzinger: preservativi inutili contro AIDS.



I casi sono due: o Ratzinger è andato completamente a massa oppure sa qualcosa sull’AIDS che noi non sappiamo .


Dire in un posto come l’Africa che il preservativo non serve nella lotta all’AIDS, è come dire a uno studente delle elementari che non serve andare a scuola. E di questo Ratzinger non può non essere consapevole. Inoltre quest’uomo di certo non lo si può considerare uno stupido. Quindi l’ipotesi che sia andato a massa rimane, ma devo riconoscere che questa volta esistono anche altre possibili cause alla sua affermazione. Perchè altrimenti significa che ha deciso di fomentare comportamenti a rischio in un paese in cui mezzo mondo ha lavorato per anni per cercare (con poco successo, almeno stando alle statistiche) di convincere la massa ignorante ad usare i profilattici, e con una semplice frase di demolire tutto quanto in un solo colpo. Una cosa che vado pensando da molto tempo, è che alle multinazionali farmaceutiche convenga sempre curare le persone e non guarirle, e questo vale per qualsiasi farmaco, non solo per gli antiretrovirali. Nel caso dell’AIDS, questa affermazione potrebbe valere ancora di più. In realtà se le case di cui sopra volessero veramente trovare una cura e/o un vaccino, dubito che mettendosi tutte assieme non la troverebbero nel giro di un paio di anni. Solo che non gli conviene perchè se il tuo mestiere è vendere farmaci e guarisci una persona da qualcosa, hai di fatto perso il cliente. Quindi gli metti in mano una schifezza più tossica che altro, gli fai vedere che gli tieni sotto controllo i sintomi (cioè lo curi), ma non puoi guarirlo, et voilà, il cliente te lo sei assicurato per tutta la vita. Il ragionamento è tremendo e sinceramente non è nemmeno dei più terribili. Ratzinger non è uno stupido, lo ripeto. Non può aver detto quello che ha detto per provocazione nei confronti dei governi (compreso quello italiano) che della lotta all’AIDS se ne infischiano, perchè così facendo ha di fatto detto ad un intero continente di continuare sulla strada della pandemia.

Non è nemmeno poco esperto come politico, e quindi deve aver pensato che quella frase gli avrebbe fatto perdere parecchi punti nei confronti dei suoi sostenitori.



By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 103

giovedì 19 marzo 2009

Il prefetto non fa credito



Alcuni provvedimenti presi dal governo stanno offrendo spunti di straordinaria amenità tanto da rendere meno amara la vita dei tanti italiani alle prese con la crisi peggiore dell’ultimo secolo.
Forse non ha tutti i torti Silvio Berlusconi nel dire che la situazione in Italia è grave, ma non è poi così tragica. Alcuni provvedimenti presi dal suo governo, infatti, stanno offrendo tali spunti di straordinaria amenità da rendere, se non più dolce, almeno un poco meno amara la vita dei tanti italiani alle prese con la crisi peggiore dell'ultimo secolo. Per la sua irresistibile comicità spicca su tutti la brillante trovata di affidare alle prefetture la vigilanza sull'esercizio del credito a favore delle imprese minori. Altrove, penso agli Stati Uniti, si sta fieramente dibattendo sull'utilità ovvero sull'inopportunità di nazionalizzare le banche in difficoltà. I fautori dell'economia di mercato sono così contrari a una tale ipotesi da preferire il collasso del sistema creditizio. Prospettiva catastrofica che aiuta i sostenitori dell'intervento statale a tirare diritti sulla loro strada, infischiandosene di chi li accusa di cedimento occulto al bolscevismo. In Italia, viceversa, la pragmaticità del Cavaliere - che da sempre ama definirsi "uomo del fare" - ha saltato a piè pari questa controversia ideologica da perdigiorno e ha già trovato la soluzione del problema: lo Stato non diventerà azionista, ma sorveglierà l'attività quotidiana delle banche attraverso i prefetti.
Magnifico! Un'idea del genere non sarebbe venuta in mente neppure al dirigista Benito Mussolini e al suo fido Achille Starace.
Magari quest'ultimo avrebbe obbligato i banchieri a mettersi in camicia nera e a fare qualche salto nel cerchio di fuoco, ma neppure un ministro della Repubblica di Salò sarebbe stato sfiorato dal proposito di far convocare, per esempio, Alessandro Profumo o Corrado Passera da un prefetto per contestare loro le scelte di finanziamento delle rispettive banche. Tanto per divertirci proviamo a immaginare come potrebbe funzionare il meccanismo inventato dal duo Berlusconi-Tremonti, facendo il caso di un signor Caio, piccolo imprenditore o artigiano, che si veda respinta dalla banca la richiesta di un credito per la propria azienda. Indispettito l'ottimo Caio fa un esposto alla prefettura di competenza. La quale convoca il direttore della filiale incriminata per chiedergli conto del suo rifiuto. Con ogni probabilità il malcapitato funzionario farà presente che il fido non è stato accordato perché il richiedente non offre sufficienti garanzie vuoi economiche vuoi di affidabilità dell'investimento. A questo punto il prefetto che cosa può fare? Prima ipotesi: può segnalare il caso al suo diretto superiore, il ministro Maroni che gira il dossier al collega Tremonti, il quale si rivolge alla Banca d'Italia perché istruisca una pratica sulla vicenda. Tempi della bizzarra trafila? Biblici. E poi? Seconda ipotesi: il prefetto o il ministro fanno sì che la banca conceda il finanziamento. Tutto bene, se il debitore fa fronte ai suoi impegni. Ma se non lo fa? Chi risarcisce la banca? Il prefetto? Il ministero degli Interni? Ovvero il dicastero dell'Economia? Gira e rigira, chi rischia di rimetterci sarebbe, come al solito, il povero e incolpevole contribuente.

Sarà, come dice Berlusconi, che la situazione non è tragica. Di sicuro non è seria.



By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 102

mercoledì 18 marzo 2009

Le esternazioni della ministra Carfagna



Del ministro Carfagna conoscevamo fino a pochi giorni fa quasi solo l' hardware. È donna di aspetto gradevole, anche se il primo piano televisivo non le dona troppo. In gioventù ha aspirato a un qualche imprecisato ruolo nello spettacolo ed è dunque passata attraverso tutte le esperienze più o meno gradevoli alle quali le ragazze di bell'aspetto e di molte vaghe ambizioni, o speranze, si sottopongono. Ora del ministro Carfagna conosciamo anche il software. A occhio e croce direi che l' hardware è meglio. Non per polemica né per partito preso, ritengo che alcune sue affermazioni sarebbero di gravità inaudita se fossero state fatte da una persona davvero responsabile politicamente. Alla domanda se non sia anomalo che il presidente del Consiglio abbia tre Reti Tv, il ministro ha risposto: «Berlusconi fa quello che gli pare, assolutamente quello che gli pare», frase che forse nemmeno Bossi avrebbe osato pronunciare e che infatti molti giornali, compreso il Corriere della Sera, hanno ritenuto di dover censurare dalle cronache per ragioni intuibili. Sulla celebre triade ottocentesca "Dio, Patria e Famiglia" deve essersi ispirata a quanto detto recentemente dal ministro Tremonti anche se dubito che i due riempiano quelle parole così imprecise con i medesimi contenuti.


Sull'essersi paragonata a Obama o a Reagan, un consiglio: licenziare chi le prepara le risposte prima che combini altri guai.



By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 101

martedì 17 marzo 2009

I maschi hanno il chiodo fisso: lo dice la scienza!



Maschietti d'Italia, d'ora in poi quando le ragazze, guardandovi con sprezzo, accuseranno dicendo "Voi maschi avete il chiodo fisso", voi potrete rispondere in tutta tranquillità "Si è vero, lo dicono anche gli scienziati!". Sembra infatti che questo e altri luoghi comuni su uomini e donne, siano legati alla fisiologia del cervello umano: un organo davvero particolare e a volte funziona attraverso meccanismi sconosciuti o inspiegabili, come dimostrano alcune recenti ricerche.

CIECHI ALLE ACCONCIATURE - Uno di questi studi viene, ovviamente, dall'Inghilterra, dove la rivista New Scientist ha pubblicato la scoperta del neuroscienziato Brad Duchaine, secondo il quale il cervello umano elaborerebbe l'aspetto della capigliatura distintamente dagli altri elementi del volto. Ovvero, così come ci sono persone che hanno difficoltà a riconoscere nasi, bocche, occhi (chiamato “prosopagnostici”, o almeno questo è quello che dicono i medici!) ora, si è scoperto, che esisterebbero anche persone che fanno fatica a “inquadrare” bene le folte chiome o le acconciature accurate di chi gli sta intorno.

POTREBBE ESSERE UNA SCUSA - C'è da precisare, però, che lo stesso neuroscienziato ammette di non aver mai incontrato nessuna persona affetta da tale disturbo, ma in base ai sui studi effettuati sul cervello, è sicuro che esista! Attendiamo che ne trovi qualcuno e, nel frattempo, qualche uomo potrebbe usare questa “scoperta” come valida scusa per giustificarsi di non aver “distrattamente” notato la nuova messa in piega dell'amata!

QUELLO STRANO FENOMENO NEL CERVELLO MASCHILE - Ma il cervello umano, specialmente quello maschile, riserva ben altre sorprese. Una psicologa americana, Susan Fiske, ha infatti studiato lo “strano fenomeno” che spinge gli uomini a girarsi quando per strada incontrano una bella ragazza e ha tentato di scoprire cosa rende il loro sguardo così inebetito quando scorrono in TV immagini di donne sexy; insomma, ha cercato di capire cosa succede nel cervello degli uomini quando i loro occhi si trovano davanti un “bel tipino”.

ZONE ON E ZONE OFF - Quali pensieri avrà visto scorrere nelle menti maschili? Forse avrà intravisto cuoricini rosa disperdersi tra i loro neuroni? O magari avrà assistito allo svolgimento di scene peccaminose? Niente di tutto questo, ma come ogni buona ricerca americana ne è derivata una scoperta sorprendente. Secondo lo studio della dottoressa Fiske, infatti, la visione di foto provocanti farebbe attivare negli uomini le stesse aree cerebrali che si accendono prima di utilizzare strumenti da lavoro e, contemporaneamente, si spegnerebbero quelle zone del cervello che normalmente vengono utilizzate per percepire le emozioni e che servono per stabilire l’empatia con gli altri esseri umani.

DONNA OGGETTO - La studiosa americana ha quindi interpretato questo “strano effetto” affermando che le foto di donne sexy portano l’uomo a non considerare più la donna come una persona, bensì come uno strumento, un oggetto da utilizzare, e non come un vero e proprio essere umano. Un’ipotesi maschilista e moralista? Nient’affatto, secondo la ricercatrice.

CERVELLO IN STAND-BY - Praticamente lo sguardo stordito, e ringalluzzito allo stesso tempo, che a volte si vede stampato in faccia ad un ragazzo mentre osserva l’immagine di una interessante signorina, non significherebbe altro che lo spegnimento di una parte del suo cervello e l'accensione di un’altra……


perché mai non tenerle accese tutte e due!?.



By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 100

lunedì 16 marzo 2009

Alla faccia del celodurismo

A Brescia, durante un intervento alla scuola quadri della Lega, il deputato del carroccio Davide Caparini ha snocciolato alla platea dati sorprendenti. Il consumo di Viagra al Nord è 4 volte superiore rispetto al Sud. E per irrobustire la sua analisi ha tirato fuori cifre inoppugnabili. Dal 1998 al 2005 nel bresciano sono state assunte circa 4.000 pilloline blu ogni mille cittadini. Appena 991 invece in quel di Potenza.
Cosa si cela realmente dietro la dura analisi del giovane parlamentare?
La sadica volontà di farci perdere le poche certezze che ci accompagnano nel quotidiano?
Lo slogan rivoluzionario “La Lega ce l’ha Duro”, che ha infiammato migliaia di elettori, ne esce infatti sgretolato senza appello. Caparini ha forse trascurato l’uso smodato che nel Meridione si fa di peperoncino e altre diavolerie piccanti, capaci di sostenere il desiderio. O forse si è lasciato prendere la mano, intendendo semplicemente ribadire un altro cavallo di battaglia padano: al Sud non si ha voglia di lavorare. Tanto che il tempo e soprattutto le forze per vivere una sessualità appagante non vengono mai meno. Tuttavia resta alto il dubbio.
E se dietro le parole di Caparini si nascondesse un pungente attacco al leader di sempre Umberto Bossi?

I giovani quadri leghisti, dopo un primo istante di smarrimento, si sono ricompattati. Pronti a chiedere spazio, sono loro i celoduristi del futuro.

Attendiamo eccitanti sviluppi.



By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 99

venerdì 13 marzo 2009

I genitori bocciano la Gelmini: no al maestro unico e ai tagli

Le famiglie chiedono il tempo prolungato e bocciano il maestro unico. Vorrebbero che il bambino di sei anni andasse a scuola per 30 ore settimanali o per 40. Il 90 per cento delle famiglie vorrebbe che il figlio passasse in aula ogni mattina e un pomeriggio a settimana o tutte le mattine e tutti i pomeriggi. Lo dicono i dati parziali del ministero dell’Istruzione secondo i quali il 56 % dei genitori, su un campione di 900 scuole, ha scelto le 30 ore e il 34 % le 40. Segno, il trend era chiaro già negli anni precedenti, che la scuola vecchio stile, bambino a scuola 4 ore al giorno per sei giorni a settimana, non va bene per le famiglie di oggi. Meglio 30 ore di lezioni settimanali, secondo il più classico dei modelli del pre- Gelmini: bimbo a scuola la mattina e un pomeriggio o 5 giorni per 6 ore a settimana a seconda dell’organizzazione dell’istituto.
TEMPO PIENO IN FORSE
Cosa farà il bambino a scuola durante le 30 ore è un’incognita. Con i tagli di organico e l’abolizione delle ore di mensa e compresenza, infatti, settembre potrebbe riservare sorprese amare. Sorprese di cui, d’altronde, le famiglie, sono state in avvertite: tempi pieni e prolungati, infatti, verranno forniti «compatibilmente con l’organico» recita il modulo d’iscrizione del ministero che, onestamente, mette le mani avanti. Sa, infatti, il ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini, che sarà dura garantire 30 e 40 ore con i tagli in finanziaria pari agli stipendi di 42mila insegnanti.
TAGLI DI ORGANICO
Al momento l’unica garanzia è che i bambini non vedranno più due maestri insieme e che ai genitori il modulo unico di 24 ore, scelto solo dal 3 % delle famiglie, non piace. Bocciate anche le 27 ore scelte da un misero 7%. Dati inequivocabili per il responsabile educazione del Pd, Giuseppe Fioroni: «La maggioranza - prosegue Fioroni - ha scelto 30 ore per la prima elementare basandosi sul modello precedente che prevedeva mensa e compresenza di docenti. Sorge spontanea una domanda, come farà questo governo con i tagli economico finanziari e le scelte fatte, a garantire gli standard di qualità a cui i genitori italiani erano abituati?». Il governo ritorna a trenta anni fa e con i tagli di organico è certo che il maestro sarà «prevalente» in tutti le opzioni d’orario come d’altronde, la Gelmini ieri ha ribadito replicando a Fioroni: «Tutti i modelli orari prevedono il maestro unico di riferimento e non solo quello a 24 ore come qualcuno sostiene in maniera imprecisa». Addio compresenza ma, secondo alcuni dirigenti, anche i laboratori articolati: con la diminuzione degli organici non si potrà scegliere, chi è a disposizione completa le ore di lezione fino ad arrivare a 30 o 40, a prescindere dalle competenze. Ci rimetterà la formazione, dunque, e i dirigenti dovranno giocare d’incastro per dare il migliore del servizio, con i pochi docenti a disposizione.
DECIMATI I DOCENTI DI LETTERE
I docenti andranno a casa, 30mila già a settembre, si prevede, e tra gli insegnanti di lettere delle medie sarà una strage. Tra tagli sulle ore in cui gli insegnanti erano a disposizione e ore opzionali per le famiglie, vanno a casa 3 insegnanti ogni 6 sezioni. La Gelmini, infatti, non solo ha tagliato le compresenze ma anche l’opzione di fare 11 ore di lettere settimanali anziché nove che, da settembre, saranno l’opzione unica.


By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 98

giovedì 12 marzo 2009

Scusi, ma lei che ci va a fare a Bruxelles?

Alla fine, dopo tutti i sofismi sulla nuova legge elettorale (compresa la bella invenzione secondo cui lo sbarramento esisterebbe in 'tutti' i paesi dell'Unione), le elezioni europee tornano a essere lo strumento per mandare a Strasburgo e a Bruxelles alcuni gruppi di deputati. I quali, prima ancora di candidarsi, dovrebbero fare un piccolo piacere ai cittadini. Cioè dire con chiarezza che cosa andranno a fare nel Parlamento europeo. A titolo di esempio, sarebbe utile che non andassero a rappresentare le sorti della libertà contro l'oscurantismo comunista, e nemmeno a illuminare con la loro presenza mediatica la grigia burocrazia dell'Unione. Perché ogni volta le elezioni europee risultano a metà fra un supersondaggio e una truffa. Il sondaggio, vabbè. Ma l'imbroglio dei leader politici nazionali candidati come specchietto per le allodole e la trasformazione di una consultazione europea in un giochetto da cortile, quello sarebbe ora di archiviarlo.Ancora adesso, nonostante anni di delegittimazione dell'Ue, culminati a suo tempo negli esorcismi contro l'euro (qualcuno sa dove saremmo adesso senza la moneta unica?), in Italia prevale un atteggiamento favorevole verso l'Europa. Una posizione che i candidati dovrebbero tenere in bella vista e cercare di riempire di contenuti. Non si tratta di temi astratti. C'è la questione del partenariato euro-mediterraneo, rilanciato da Sarkozy con l'Unione per il Mediterraneo, a cui si collega il tema della politica di immigrazione e di asilo. Già: si può rispondere ai clandestini con la faccia feroce, come auspica Roberto Maroni, oppure allestendo politiche comuni. Mentre si esibiranno in campagna elettorale, potrebbero dirci i candidati, studiato qualche dossier, come intendono procedere? E farebbero il favore di segnalare come si collocheranno rispetto alla modernizzazione del modello europeo di società e di economia, soprattutto durante la crisi che investe il mondo? Hanno qualcosa da dire sulle politiche energetiche e sul problema del cambiamento climatico? Sulle relazioni internazionali e il rapporto con le nuove potenze asiatiche?
Il fatto è che la presenza nell'Europarlamento rischia di mettere allo scoperto il provincialismo della discussione politica italiana, il ruolo di mosca cocchiera di Berlusconi nei rapporti internazionali, l'improvvisazione scolastica sulle scelte energetiche, il dilettantismo parolibero di una classe dirigente che quando parla delle istituzioni europee si limita a fare delle ironie sui regolamenti a proposito della curvatura e il diametro delle zucchine (senza sapere che in realtà le norme sugli ortaggi, che fanno ridere ministri e professori euroscettici come Marcello Pera, sono state abolite). Il fatto è che i poteri dell'Assemblea europea sono in progressivo aumento. Investono le spese per la politica di coesione, con riflessi importanti sui fondi per le nostre regioni, i finanziamenti per la ricerca e l'ambiente, le regole per ciò che riguarda cittadinanza e immigrazione.

Ce n'è abbastanza per concludere: astenersi perditempo, parolai, uomini e donne di spettacolo, gente da talk show, trombati vari, sindaci in scarica, ideologi, astrologi, cantanti. Il popolo europeo ve ne sarà grato.




By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 97

mercoledì 11 marzo 2009

Basta condoni, arriva il nuovo piano fai-da-te





Ecco qui, come si combatte la crisi. Il Governo annuncia un provvedimento per farsi da soli le licenze edilizie. Almeno quelle per aggiungere qualche stanza alle case. Curioso, dopo gli ultimi episodi di alluvioni e disastri idrogeologici vari non sembrava che ci fosse una grande esigenza di toglier regole. Ci saremo sbagliati. Anche la fastidiosa abitudine del nostro territorio a svegliarsi di malumore e a terremotare ogni tanto, si vede che non è una buona ragione per fare noiosamente attenzione ai permessi. Il ragionamento potrebbe essere “In fondo perché stancarsi a fare i condoni? Si fa prima così”. Oppure tutto potrebbe essere nato da un equivoco sui termini: a furia di sentir invocare la necessità di un piano per combattere la crisi, il governo ha confuso la pianificazione con la sopraelevazione. I più alti ideali con gli attici aggiunti. Il cimento con il cemento. O forse si tratta solo di una incomprensione geometrica. Combattere la crisi economica richiede di guardar lontano, quando invece sembra che l’orizzonte si restringa, di investire quando non ci son risorse, di far studiare quando sembra più difficile. Insomma, bisogna saper fare la quadratura del cerchio.
Magari il governo ha solo una visione più tridimensionale della situazione. Oppure vuole andare oltre. Perché limitarsi alla semplice quadratura, si saranno detti. Facciamo direttamente la cubatura.

By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 96

martedì 10 marzo 2009

Basta con le mimose adesso leggi più serie

L’8 marzo, "festa della donna". Sorrisi abbracci e tante mimose per un rituale ormai senza senso. Sapevo che avremmo assistito all’ennesima melensa, stucchevole e imbarazzante giornata di "liberazione". Politici e istituzioni di maggioranza ed opposizione ce l’hanno messa tutta perchè alla fine il teatrino mediatico tracimasse attraverso i telegiornali nelle nostre case. A Roma, per la maggioranza, il presidente della Camera Fini ha parlato insieme al sindaco Alemanno ad un piccolo parterre di donne che contano. Rispetto allo scorso anno al posto della iperattiva Santanchè due combattive ministre, la Meloni e la Carfagna. La risposta dell’opposizione invece è stata affidata ad un sorridente ma abbacchiato Franceschini che a Casal Bertone distribuiva, ad uso e consumo delle Tv, piccoli ciuffi di mimose ad entusiaste militanti impegnate a fargli dimenticare il momento più buio di un Pd allo sbando. A vedere quelle immagini sono stato assalito da un irrefrenabile senso di tristezza. Se questa è la risposta al degrado sociale, alla violenza dilagante e alla mancanza di sicurezza che oggi colpisce soprattutto le donne, penso che di questi rituali possiamo farne tranquillamente a meno. A destra come a sinistra. Il Paese e la gente hanno bisogno d’altro. C’è necessità di uno Stato che ponga fine al dilagare della paura, del terrore che ronde formate da volenterosi cittadini non sono in grado di esorcizzare. Si deve tornare al controllo del territorio da parte di polizia e Carabinieri. Uno Stato che non controlla il territorio non è uno Stato è un condominio sociale senza regole, aggredibile da pericolose derive sul piano dell’ordine pubblico.
Domanda: perchè non proviamo a dare meno mimose ma qualche legge di qualità condivisa che assicuri la svolta sia sul piano del lavoro che quello della sicurezza?

By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 95

lunedì 9 marzo 2009

Cari imprenditori, un pò di autocritica



E' fin troppo facile notare che da questa crisi, peggio dei banchieri, ne escono solo gli industriali. Non perché siano dei “corvi” (come li ha definiti il ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola) che diffondono pessimismo ma perché hanno mancato l'occasione giusta per emergere come dei veri leader. Da due anni dagli scranni più alti della Confindustria sono arrivati messaggi a dir poco contraddittori senza nemmeno un cenno di autocritica. Nell'opinione comune gli imprenditori italiani, molti dei quali siedono, silenti, anche in Parlamento, stanno passando come coloro che da una parte approfittano della recessione per mettere in pratica scelte dolorosissime sul piano occupazionale che non sono riusciti a compiere prima per via della loro impopolarità, e dall'altra come coloro che non riescono a tirare avanti senza aiuti, sostanziosi, da parte dello Stato. Purtroppo questa è l'immagine degli industriali oggi, così come è emersa anche dall'ultimo deprimente balletto sugli aiuti di stato. Prima dovevano essere concessi solo all'auto, poi anche agli elettrodomestici, poi alle tv (perché, poi, dato che in Italia non c'è un solo produttore di tv?) poi perfino ai mobili. Alla lista di chi bussa alle casse pubbliche si sono messi in fila anche gli imprenditori della moda imbufaliti con i loro colleghi di altri settori industriali che hanno accusato di essere stati lobbisticamente molto “aggressivi”. Non è un bello spettacolo. Così come non è un bello spettacolo sentire il leader degli imprenditori affermare che “il governo può fare di più”. Banalità. Anche gli imprenditori dovrebbero fare di più. Avrebbero dovuto fare di più. Dovranno fare di più. Ad esempio dovranno investire molto di più in ricerca e sviluppo e smettere di rincorrere i produttori asiatici nella fallimentare corsa alla riduzione del costo del lavoro. Non è questo ciò che un Paese si attende dalla sua classe dirigente che, invece di lamentarsi, dovrebbe usare tutto il proprio peso politico, la propria forza d'urto e la propria capacità per chiedere, quasi “imporre” al governo quelle riforme senza le quali la speranza di ripartire resta vana. Chiedere meno burocrazia, più investimenti pubblici in infrastrutture e un welfare che difenda i propri dipendenti (che chiamano democraticamente “collaboratori”) quando la furia delle recessione li colpisce.

È troppo sperare che un leader si comporti da leader e la smetta di piagnucolare.

By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 94

venerdì 6 marzo 2009


La striscia rossa
Bisogna varare interventi per quella gran massa di persone che sono senza lavoro o che rischiano di perderlo. Soggetti deboli come i precari e gli operai nell’indotto delle grandi industrie. Per loro servono immediate misure di tutela. Carlo Azeglio Ciampi, 4 marzo
L' Ici al posto degli asili
Esattamente un anno fa il ministro per la Famiglia del governo Prodi, Rosy Bindi, annunciava che circa 70 dei 94 milioni di euro che la Popolare Italiana aveva versato allo Stato per sanare la sua posizione con la giustizia nella scalata alla Banca Antonveneta sarebbero serviti per creare nuovi asili nido, circa 10mila posti in più. È passato un anno, è cambiato il governo, i pm milanesi hanno confiscato altri 200 milioni di euro, eppure di quegli asili nido non sembra esserci nemmeno l' ombra. Che fine hanno fatto quei fondi, promessi alle mamme d' Italia? I maligni dicono che sono serviti per coprire parte del buco creato con il venire meno dell' Ici, la tassa sugli immobili abolita dal governo Berlusconi.

Se così fosse, non è il caso di dirlo a quei bimbi che aspettano ancora il loro asilo nuovo di pacca?


By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 93

giovedì 5 marzo 2009

Andiamo verso una scuola che preoccupa


La recente riforma della scuola crea molta apprensione già dal prossimo anno scolastico. Difficile trovare le ragioni pedagogiche di questa riforma. Più facile comprenderne la motivazione economica, l'esigenza di risparmio, in un periodo dove tutti siamo chiamati al sacrificio e alla spesa oculata. Impossibile capire perché il risparmio cominci dalla scuola e soprattutto dalla scuola primaria.Il prossimo anno, i bambini che frequenteranno la classe prima, scegliendo il nuovo modello orario di 24 ore rinunceranno come minimo a 3 ore di lezione ogni settimana. Le uniche materie riducibili sono Italiano e Matematica. Nei cinque anni le ore perse saranno 600, un intero anno scolastico delle due materie più importanti!Uno dei pochi punti certi della riforma è l'eliminazione delle "compresenze". Considerando che un'insegnante può accompagnare non più di 15 alunni, la compresenza (due maestre sulla stessa ora) anche se si verifica per poche ore alla settimana, permette le uscite didattiche, le attività opzionali, le lezioni, di recupero, l'apprendimento dell'informatica con la classe divisa in gruppi. Inoltre la compresenza permette la copertura della mensa, le supplenze "veloci", consente alla maestra di completare il suo orario di lavoro settimanale.Per le famiglie dei "primigini" 2009-2010 ci sarà la possibilità di scegliere tra quattro modelli orari 24-27-30-40 ore settimanali (40 comprensive di mensa) con un'insegnante "prevalente" ed altre "abilitate". Le classi più alte continueranno con il vecchio modulo (senza compresenze). Calcolando che una maestra lavora 22 ore, che per insegnare inglese e religione occorre averne titolo o requisito, formare l'organico sarà un'impresa degna di Erno Rubik.
Mentre si aspettava il completamento di una riforma in atto, viene invece ribaltato l'assetto, l'ordinamento della scuola primaria (il "modulo") ormai largamente accettato dai genitori e valorizzato a livello internazionale.In Italia tempo fa si fece anche una scelta di grande civiltà, onorevole per il nostro Paese, inserendo insegnanti di sostegno per l'integrazione degli alunni con disabilità o problemi seri, una goccia d'oro zecchino nel mare degli investimenti per tutti gli altri bambini che disabili non sono.Anche per questo la nostra scuola primaria è tra le migliori al mondo, con il suo sforzo d'insegnamento individuale, personale ed in gruppi che lavorano insieme, costruendo un'evoluzione didattica inarrivabile dalla scuola superiore. I "tagli" nella scuola hanno un costo umano e prospettico.
La scuola non è una risposta alla richiesta del mercato, è la crescita dei nostri "piccoli uomini" sotto l'egida della cultura.
Andiamo verso una scuola che preoccupa e impaurisce. Abbiamo bisogno di una politica più sapiente, molto vicina alla saggezza. La ragione è il nostro privilegio di uomini, permette di conoscere, di discernere e di giudicare. La politica dovrebbe regolare le nostre azioni senza allontanarsi da una forte coscienza morale, pronta a suggerire progetti e riforme che attingano da quella grande esperienza che genera il buon senso.




By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 92

martedì 3 marzo 2009

Quei ritocchini fronte-retro under diciotto



Io ero convinto che a vigilare sui desideri di chirurgia estetica delle minori di diciotto anni ci fossero già i genitori, i medici e i costi proibitivi. Evidentemente non è così, se ci vuole un intervento governativo per tenere a freno gli interventi di incremento volumetrico anteriore. Insomma pare che ci voglia una legge per impedire i rifacimenti di tette prima della maggior età. Stupisce anche la statistica collegata, che dice che più di una minorenne su dieci vorrebbe farsi almeno un ritocchino. Oltretutto, per quante desiderano ardentemente sfoggiare un decoltè abbondante, esistono già ogni sorta di diabolici strumenti di spostamenti di masse, cammuffati da biancheria intima. Specie di incredibili incroci fra pizzi, trine e un ponte strallato, che producono cambiamenti sostanziali nel profilo. Si vede che non basta, e le giovani pretendono delle vere tette finte e non delle finte tette vere. Non oso immaginare cosa si potrebbe scoprire sul conto dei maschietti se fosse disponibile, discreto ed economico qualche intervento per incrementare qualche altra cosa, tipicamente virile e che non è la barba. Chissà se davvero la richiesta di incremento mammario fra le giovani è così elevata.


Potrebbe cambiare il significato delle conversazioni fra genitori. Anche quelle di solito innocue. Tipo "Mia figlia sta facendo la terza media", "La mia ha già fatto la quinta alle superiori".


By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 91

lunedì 2 marzo 2009

La battuta di Berlusconi a Sarkozy "ridimensionata" da Palazzo Chigi

Ma intanto due parlamentari lo denunciano: "Disprezza vita e dignità delle donne"

Non ha detto "donna" ma "Sorbona"Il premier denunciato alla Corte europea






"Moi je t'ai donné la femme". "Ti ho donato la tua donna", ha detto Silvio Berlusconi, al presidente francese Nicolas Sarkozy. L'ennesima battuta del premier, questa volta riferita a Carla Bruni, che poche ore dopo viene ridimensionata da una precisazione di Palazzo Chigi ("Non ha detto 'donna', ha detto 'Sorbona'") non piace ad Anna Paola Concia, deputata del Pd, e Donata Gottardi, parlamentare europea del Pd-Pse. Che hanno deciso di sporgere denuncia contro il presidente del Consiglio per i suoi ripetuti riferimenti allusivi "di disprezzo" nei confronti delle donne. "Denunciamo Silvio Berlusconi, in qualità di presidente del Consiglio dei ministri italiano, alla Corte europea di Strasburgo per violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, a causa delle continue e ripetute dichiarazioni di disprezzo sulla vita e la dignità delle donne", annunciano le due onorevoli, dopo quella frase a Sarkozy. Sottolineando che "in Italia, a causa del Lodo Alfano, non è possibile denunciare il presidente del Consiglio alla magistratura". Le due parlamentari ricordano alcune delle dichiarazioni del premier che sono alla base della loro decisione: "Il 14 marzo 2008 in campagna elettorale: Berlusconi consiglia a una giovane precaria di sposare un miliardario per risolvere i suoi problemi economici. Il 25 gennaio 2009, durante un comizio elettorale a Sassari, teorizza che "per evitare gli stupri servirebbe un militare per ogni bella donna". E ancora, il 6 febbraio 2009, "l'inquietante dichiarazione su Eluana Englaro". Infine, "il 26 febbraio 2009, incontro internazionale con Sarkozy: Berlusconi, rivolgendosi al Presidente francese, lo avverte: 'Io ti ho dato la tua donna'".
Quella che i francesi definiscono come "humour déplacé", ovvero l'ironia fuori luogo del premier, sembra destinata ad arricchire la galleria delle sue gaffe. Dalla battuta sull'"abbronzatura" di Obama a quella
sui desaparecidos argentini, che una decina di giorni fa ha suscitato il risentimento di Buenos Aires. E poi a Strasburgo, quando all'Europarlamento diede del kapò nazista al deputato socialdemocratico tedesco, Martin Schulz. Lunga la lista dei bersagli di Berlusconi: i malati di Aids, i giudici, ("mentalmente disturbati"), i cinesi (che avrebbero "bollito i bambini ai tempi di Mao") fino alla stessa moglie, oggetto di allusioni a proposito delle voci di una liason con Massimo Cacciari: in quell'occasione, il premier coinvolse l'omologo danese, e allora presidente di turno della Ue, Andres Fogh Rasmussen: "E' il primo ministro più bello d'Europa - disse - penso di presentarlo a mia moglie perché è anche più bello di Cacciari". Qualche anno dopo, Veronica Lario si vide costretta a scrivere una lettera aperta a Repubblica. Accadde dopo la cena in occasione della cerimonia di consegna dei Telegatti, gli "Oscar della tv", nel gennaio del 2007. Berlusconi pronunciò un paio di complimenti di troppo: "Io con te andrei ovunque", disse alla showgirl Aida Yespica, e "Se non fossi già sposato me la sposerei", disse in riferimento a Mara Carfagna. E quella volta fu costretto a chiedere scusa. La smentita di Palazzo Chigi. In tarda serata, una nota di Palazzo Chigi ha smentito i media che hanno riportato la battuta del premier. "La frase che il presidente Berlusconi ha detto sottovoce al presidente Sarkozy durante la conferenza stampa a Villa Madama, mentre si stava parlando del riconoscimento in Italia dei baccalaureati, era semplicemente: "Tu sais que j'ai ètudiè à la Sorbonne" ("tu sai che ho studiato alla Sorbona"). Al presidente Berlusconi hanno dato l'oscar della volgarità che non meritava. A loro spetta invece l'oscar della denigrazione che si meritano appieno".


Per la precisione, Berlusconi (laureato alla Statale di Milano) alla Sorbona ha frequentato un corso estivo.



By Angelo Stelitano


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