La Chicchetta - 90

venerdì 27 febbraio 2009


La furia demolitrice di Brunetta



Dopo mesi di roboanti annunci, di mirabolanti promesse, di piani industriali per ridare efficienza e dignità ai servizi pubblici in questo Paese, il ddl Brunetta di riforma del rapporto del lavoro pubblico è stato definitivamente approvato al Senato. Ha ottenuto una striminzita maggioranza di 4 voti, la dichiarazione di voto contrario e l'abbandono dell'aula da parte della opposizione. Il tutto dopo una prima votazione dove era venuto meno il numero legale.Per essere un provvedimento che doveva, secondo alcuni, rappresentare il primo fulgido esempio di politica bipartisan, non c'è male davvero. E' stato invece il primo segnale positivo dato dall'opposizione di fronte ad una legge onestamente impresentabile. C'è da pensare che su questo mutato atteggiamento (solo pochi mesi fa il Pd al Senato si era astenuto), un qualche peso l'abbia avuto anche l'opposizione sociale che con forza è tornata a far sentire la sua voce con lo sciopero e la straordinaria manifestazione nazionale del 13 febbraio scorso in Piazza S. Giovanni a Roma.La crisi che ci attraversa avrebbe bisogno di un sistema di servizi più esteso, efficiente, universalmente accessibile e diffuso in tutto il territorio nazionale. Ma di questo bisogno non c'è traccia nella Riforma Brunetta.
Ciò che in effetti risulta dalla furia demolitrice del ministro è un sistema nel quale la privatizzazione del lavoro pubblico e la sua equiparazione nelle regole a quello privato non c'è più. Il lavoro sarà d'ora in avanti regolato dalla legge, dagli statuti e dai regolamenti dei singoli enti ed il contratto potrà derogare da leggi statuti e regolamenti solo per ciò che esplicitamente sia previsto dalle norme emanate. C'è da chiedersi cosa vi sia davvero dietro questa scelta, oltre all'evidente intenzione di demolire la contrattazione e con essa il sindacato e le Rsu. La vera ragione va ricercata nella volontà di attribuire alla politica la facoltà di intervenire a sua discrezione nella organizzazione e nella gestione degli apparati pubblici a fini di consenso e per finanziare spese che diventano spesso occasioni di incrocio tra gli affari e la cattiva politica. Si provi solo ad immaginare cosa può significare per un ente pubblico, determinare unilateralmente la struttura dell'organizzazione di un servizio, la classificazione del suo personale e la relativa dipendenza funzionale e gerarchica. Si pensi, ancora, alle occasioni di innesco di spesa clienterale che a ridosso di ogni occasione elettorale si creeranno quando il responsabile del singolo ente potrà con un proprio atto autonomo promuovere questo o quel gruppo di lavoratrici e lavoratori. In questo quadro il sindacato non serve, anzi è d'intralcio: «La Cgil è il mio vero grande nemico...» ha dichiarato Brunetta. A coloro che credono ancora nelle buone intenzioni di questo ministro chiedo di domandarsi se le scelte adottate miglioreranno o estenderanno i servizi ai cittadini e alle imprese. Può per questo essere sufficiente un'Autorithy le cui sole certezze sono i compensi eccedenti i tetti massimi previsti per la P.A. (che direbbe Obama che ha disposto un tetto massimo di 500.000 dollari anche per i manager privati?), del tutto svincolati dai risultati che questa Autorithy dovrebbe raggiungere? Quanto agli incentivi al merito sarebbero sufficienti le norme contrattuali se ci fossero risorse per il merito, ma l'accordo non firmato dalla Cgil il 31 ottobre 2008 stabilisce un aumento per il biennio di 40 euro medi procapite per il 2009 e di 8 euro mensili da aprile a dicembre 2008. Del resto, questo accordo, nelle sue strutture portanti, ha solo anticipato l'accordo separato sul modello contrattuale di gennaio ed è stato sonoramente bocciato dal referendum, promosso dalla F. P. Cgil. Il lavoro pubblico fa uno spaventoso salto all'indietro e con esso 60.000 precari quest'anno e circa 200.000 precari nei prossimi due anni si apprestano ad essere licenziati, sprovvisti di qualsiasi tutela e di ammortizzatori sociali e con la conseguente chiusura di servizi reali e necessari ai cittadini. Questo è quello che tiene in piazza il lavoro pubblico ormai da giugno e che ha prodotto la scelta dell'Unità anticrisi fatta dai lavoratori pubblici e meccanici che ha battuto, questo possiamo già dirlo, chi voleva dividerli. Questo Paese ha bisogno del lavoro: del lavoro pubblico come di quello privato, ma di un lavoro decente e di salari decenti, di una rete diffusa di welfare ed ammortizzatori sociali.
Persino il governatore della Banca d'Italia Draghi l'ha capito, mentre la Corte dei Conti, nel silenzio dei media, denuncia la non rispondenza tra le entrate stimate nella legge finanziaria ed il reale gettito fiscale reso noto dall'Agenzia dell'Entrate. Rovesciare il paradigma di queste politiche economiche è necessario per far ripartire il Paese, attenuare e superare le ingiustizie sociali. La riforma Brunetta va nel segno opposto ed insieme all'accordo separato del 22 gennaio ed alla prospettata manomissione del diritto di sciopero, sostanzia l'idea di una società autoritaria e corporativa.


Una prospettiva che una sinistra che non smarrisca almeno il senso delle ragioni della riduzione delle disuguaglianze si deve impegnare a contrastare. Una battaglia, questa, di cui anche la Cgil ha straordinariamente bisogno per non smarrire il suo profilo confederale.

Carlo Podda - segretario generale FP-Cgil


By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 89

giovedì 26 febbraio 2009

Se le va bene la curiamo, altrimenti ciao




Abbiamo una nuova norma davvero strana, che riguarda le cure mediche e gli immigrati. Dice che i medici, se lo desiderano, possono denunciare le persone che non sono in regola con il permesso di soggiorno. Io pensavo che le leggi fossero fatte per rendere più facile capire come comportarsi, mi sa che mi sbagliavo. La norma precedente era chiara. Diceva che i medici dovevano curare tutti. Senza riferire se qualcuno non aveva quel particolare documento in regola. Anche lo scopo era chiaro: garantire le cure a tutti, ed evitare che spuntassero problemi sanitari e una sanità illegale parallela. Capite che se in tanti non possono curarsi alla luce del sole nasce automaticamente un mercato della sanità nascosta. Considerate che per queste cure non si potrebbe legalmente affittare un locale, comprare una medicina, emettere una fattura. Con la nuova norma i medici non sono obbligati a denunciare. Però potrebbero farlo. Quindi d'ora in avanti per chi ha il permesso scaduto (magari una ragazza che deve partorire, perché no) c'è una specie di roulette russa. Il fascino dell'imprevisto. Se le va bene la curiamo, se le va male ciaociao. Dipende. Potrebbe. Sembra un pò come mettere a un affamato un piatto di pastasciutta dall'altra parte dell'autostrada, per divertirsi a vedere cosa succede.


Io mi chiedo chi avrà pensato a questo modo di legiferare. Così, a intuito direi Crudelia De Mon.





By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 88

mercoledì 25 febbraio 2009

C’è crisi, ma Giulio non trema (o così pare)

La crisi non fa paura a questo governo. O (seconda ipotesi) l’ottimismo che traspare tra le righe del decreto a sostegno ad alcuni settori industriali, è un modo per eludere il problema dell’impossibilità di stanziare più di 2 miliardi. Solo così si spiega l’esiguità delle misure economiche messe in campo per incentivare i consumi nel settore dell’auto, degli elettrodomestici e dei mobili. Corrispondono, più o meno, a 1.500 euro di sconto per l’acquisto di un’auto nuova che, se sommati agli sconti dei produttori, portano il bonus a 3mila euro. Ai soldi pubblici si ha però diritto solo se si rottama un’auto inquinante immatricolata prima del 1999. Difficile pensare che chi in 10 anni non ha cambiato auto lo faccia ora. Ecco perché gli incentivi sembrano più tagliati sulle esigenze delle case produttrici di vendere i nuovi modelli meno inquinanti. Inoltre, secondo uno studio (Fleet&Mobility) le misure governative possono salvare 40mila posti di lavoro grazie a 400mila immatricolazioni in più del previsto nel 2009. Non è detto che a salvarsi siano tutti e solo dipendenti Fiat. Se nei mesi scorsi l’ad dell’azienda aveva paventato il taglio di 60mila posti di lavoro, le misure prese non sono sufficienti. E qui entra in campo il fatto che il governo non ritiene questa crisi così drammatica come sembra. Avrebbe fatto di più, altrimenti. Avrebbe, ad esempio, svincolato lo sconto Irpef del 20% sull’acquisto di elettrodomestici e mobili dalla ristrutturazione della casa, che restringe di molto il numero delle famiglie che vi faranno ricorso. Perché tutta questa fiducia? Perché, come ha spiegato Tremonti, la capacità di spesa degli italiani è ancora “enorme” e il compito del governo è stimolare l’uso di questi soldi ai fini della spesa. Vero. Solo che, ancora una volta, nei provvedimenti del governo mancano i giovani. I ragazzi sotto i 30 anni, laureati, lavoratori a tempo, a contratto o a progetto, non hanno ancora trovato nelle decine di provvedimenti anti-crisi una misura che andasse a loro favore. Mancano quelle riforme necessarie per trasferire un pò di fiducia nel futuro anche a loro. La prima di queste riforme è quella degli ammortizzatori sociali per estendere la protezione del reddito anche a chi lavora da precario.

Ma il ministro Sacconi dice che non è questo il momento. E allora quando?



By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 87

martedì 24 febbraio 2009

La differenza tra una ronda e una canna


E' bellissima la spiegazione dei tentativi da fare una legge per le ronde di cittadini. Più o meno suona “Ci sono già, tanto vale renderle legali”. Non è che sia un ragionamento nuovo, per carità, solo che di solito lo sentivo usare tutto da un'altro punto di vista, tipo per le droghe leggere. In effetti ci sono altre somiglianze fra le ronde legali e le canne legalizzate. Ad esempio, entrambe sono piuttosto stupefacenti, rappresentano una tentazione per le giovani generazioni annoiate e possono dare a qualcuno un molesto senso di onnipotenza ed una visione della realtà alquanto distorta. Ma le ronde sarebbero forse parte di un altro tipo di fenomeno: quello per il quale alcuni cittadini pensano di poter fare meglio un pò di cose che di solito sono compito dello Stato. Come stabilire l'entità delle tasse che devono pagare (al ribasso), o decidere direttamente che un certo terreno può essere edificabile (al rialzo). In fondo delle forme di autogestione, viste da chi le desidera come più veloci ed allegre delle tristi e noiose procedure previste. Quanto al fatto che ronde di volenterosi possano rendere un luogo più sicuro, è buffo che qualcuno nelle Istituzioni ne sembri convinto.

In fondo tutto sta a credere che i rondisti possano essere più abili, capaci e attenti di Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Vigili Urbani e ultimamente pure di un pochino di Esercito.




By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 86

venerdì 20 febbraio 2009

Una battuta di Berlusconi, durante un comizio in Sardegna, fa infuriare Buenos Aires

Ancora una battuta incontenibile. Che solleva una bufera e sfiora l'incidente diplomatico. Stavolta accade durante un comizio elettorale in Sardegna, per assicurare gli ultimi voti al suo pupillo Ugo Cappellacci. E l'ironia che manda su tutte le furie Buenos Aires. «Per la sinistra sono quel dittatore argentino che faceva fuori i suoi oppositori portandoli in aereo con il pallone, poi apriva lo sportello e diceva: c'è una bella giornata fuori, andate un pò a giocare» dice Silvio Berlusconi lo scorso venerdì dal palco di Cagliari. «Fa ridere, ma è drammatico» aggiunge il premier, ma intanto il dado è tratto. Quelle poche parole, prima riportate dal quotidiano l'Unità, vengono riprese dal giornale argentino Clarin, che in prima pagina titola: «Berlusconi, macabro con i desaparecidos». Una frase, quella del presidente del Consiglio, che crea momenti di forte tensione tra l'Argentina e l'Italia. Con il ministero degli Esteri di Buenos Aires che convoca d'urgenza l'ambasciatore italiano, Stefano Ronca, per esprimere «la profonda preoccupazione» per le presunte frasi attribuite al Cavaliere sui voli della morte utilizzati tra il 1976 e il 1983 durante l'ultimo regime militare. L'ambasciatore, a sua volta, afferma che c'è l'assoluta certezza che da parte di Berlusconi non vi è stato «alcun intento offensivo», ma semmai «una netta presa di distanza dalla dittatura argentina». «Tutto un equivoco» ripetono ancora le fonti del governo italiano. In serata però, dopo la bufera scatenata, arriva la dura reazione di Palazzo Chigi. «È un attacco calunnioso e assolutamente ingiustificato, che provoca indignazione» si legge in una nota. Secondo il comunicato del governo, quelle frasi sono state «stravolte e addirittura rovesciate».


Stavolta è davvero troppo. Scherzare sull'orribile fine dei desaparecidos in Argentina, tra cui molti nostri connazionali, è imperdonabile.



By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 85

giovedì 19 febbraio 2009

“Se è un pericolo essere donna”

di Natalia Aspesi

La donna è tornata ad essere un corpo fragile, a disposizione di quello del maschio violento di ogni nazionalità e colore.
E i maschi violenti italiani, per lo meno quelli che progettano le ronde, sprangano immigrati e auspicano torce umane, adesso urlano a caso «Bastardi! Così imparate a stuprare le “nostre” donne!». Attraverso il confuso moltiplicarsi di fatti e notizie orribili, la donna sta perdendo la propria autonomia, la propria libertà, la fiducia in sé e negli altri. Sono gli uomini a riprendere il potere su di lei: quelli che la violentano, quelli che dovrebbero proteggerla, quelli che la vorrebbero soggetta, quelli che dicono, è “nostra”. Quelli che a nome suo pretenderebbero la castrazione del violentatore; e qui bisognerebbe sapere se il provvedimento, caso mai i leghisti insistessero, vale solo per i rom o anche per quegli italiani (forse persino leghisti) che nel confortevole riparo di casa ogni tanto sottopongono la “loro” donna alle massime molestie non solo sessuali. O per tutti quegli altri, sempre italiani, che erano il 58% degli autori dei 4465 stupri denunciati (più di 12 al giorno, solo una parte di quelli realmente avvenuti e taciuti) nel 2008.
Si sa che le donne hanno dovuto combattere anni perché lo stupro, da reato contro la moralità pubblica e il buon costume, fosse considerato finalmente un reato contro la libertà personale, e alcuni legislatori non erano poi così contenti, parendo ai più resistenti che fare quella brutta cosa lì era più che altro un peccato mortale, da punire appunto perché immorale. Quindi è solo dal 1996 che il codice penale riconosce il diritto della donna alla libertà di disporre del proprio corpo e di negarlo con tutte le sue forze a chiunque, senza per questo essere obbligata a imitare Maria Goretti. Anche se sino a un paio di decenni fa, una ragazza che uscisse viva da uno stupro e non stesse zitta, metteva in sospetto: senza dimenticare che più recentemente la Corte di Cassazione aveva ritenuto impossibile per uno stupratore riuscire a togliere i jeans a una ragazzina senza la complicità della stessa. Insinuando anche nella sentenza che tale è l´orrore dello stupro, che per impedirlo la vittima non avrebbe dovuto aver paura «di patire altre ipotetiche e non certo più gravi offese alla propria incolumità fisica». Tipo la morte.
Uno studio della solita Università di Princeton che ha un pallino per le cose del sesso, ha stabilito che in certi uomini, si presume insaziabili, la fotografia di una bella ragazza accende la stessa sezione del cervello che reagisce agli oggetti desiderabili; «come se la donna non fosse del tutto un essere umano», comunque umano quanto può esserlo un´automobile o un giubbotto firmato. Percepire la donna come un oggetto, qualcosa quindi da prendere, possedere, sottomettere, per ragioni biologiche e irrazionali, forse è vero e forse no, ma se fosse vero, basterebbe che gli uomini stessero davanti alla televisione perché i loro cervelli lampeggiassero di luci come Piedigrotta causando loro seri tormenti e impulsi riprovevoli. Ma a parte questa eventualità bizzarra, fa più paura una sorta di rancore muto e protervo che le donne sentono salire dal mondo maschile, rancore per la loro libertà di essere sessualmente disponibili o indisponibili a seconda della sola loro volontà, per la loro capacità di non aver padroni, di non dipendere, di non aver bisogno, di cavarsela da sole anche quando troppo spesso sono lasciate sole. Dagli anni 70 la maggior parte degli uomini ci ha provato ad accettare, e ce l´ha fatta, ma le donne sono a poco a poco diventate sempre più estranee al ruolo loro assegnato, intaccando il senso e il valore del ruolo opposto, quello maschile. Sono state troppo fiduciose e hanno creduto davvero di poter contare sulla libertà personale sino a usare il loro corpo da immettere sul mercato dell´immagine come un oggetto virtualmente desiderabile e accessibile. Non avevano fatto i conti forse col cervello maschile e le sue reazioni, certo non con la nuova fragilità e rabbia maschile.
Essere donna è tornato ad essere un pericolo, ed è la sua debolezza fisica ad essere colpita: minacciandola, spaventandola, violentandola, promettendole protezione. Ma se mai oltre alle parole si trovassero i soldi, che non ci sono, per quella famosa sicurezza che per ora consiste solo nel prendersela con gli stranieri e non riesce ad impedire le violenze (straniere e italiane) non solo contro le donne, si raccomanda alle eventuali forze dell´ordine di tener d´occhio anche le ronde, non si sa mai, nella storia ne han fatte di tutti i colori.

La Repubblica, 17 febbraio 2009



Ringrazio la collega Mariangela Romanelli per la segnalazione dell'articolo.




By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 84

mercoledì 18 febbraio 2009

LA COMUNICAZIONE INPDAP

Oggi una Chicchetta particolarmente vissuta dai lavoratori. Le segnalazioni provenienti dal Nord al Sud (isole comprese) evidenziano la pessima comunicazione dell'Istituto con pesanti ripercussioni sui pensionati e come già detto sui lavoratori.
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Ciao
leggo con piacere la tua chicchetta quotidiana e vorrei proporti di dedicarne una alla "comunicazione inpdap". Ti giro a questo proposito una serie di mail che mi sono arrivate ieri e che fotografano solo in parte il marasma che OGNI ANNO, ripeto OGNI ANNO si ripropone agli operatori di Urp, call center e centralino tra gennaio e febbraio ovvero quando c'è il conguaglio fiscale o quando ci sono dei cambiamenti che comportano decurtazione di soldi ai pensionati.

Il problema principale è, secondo me, che l'INPDAP non comunica per tempo ovvero prima della riscossione della pensione quello che succederà, cioè la decurtazione piccola o grande della pensione mensile. Immagina quando un pensionato alle prese con le mille difficoltà di far quadrare il proprio bilancio familiare va in banca o alla posta (peggio!) convinto di ricevere una certa somma e si ritrova la metà o 200 euro meno o anche 50. Gli impiegati bancari o postali non sanno dire il perchè e i pensionati non avendo ricevuto comunicazioni al riguardo sono inferociti. E arrivano a frotte o telefonano alle sedi per avere spiegazioni. Che spesso non siamo in grado di dare se non con discorsi generici tipo si tratta del conguaglio fiscale, la legge prevede un recupero in un'unica soluzione ecc.. Questo perchè anche chi deve dare risposte certe, le risposte certe non le ha belle e pronte, se le deve andare a cercare, a capire il perchè è successo quel taglio andando a ricostruire situazione per situazione. E non tutti gli operatori possono o sono in grado di farlo. Comunque ci vuole tempo e non ce n'è con centinaia di persone agli sportelli.

Cosa ci vorrebbe allora? L'uovo di colombo. E che chi si occupa di comunicazione (leggi D.C. Comunicazione), ascoltasse chi ci lavora quotidianamente con il pubblico allora le soluzioni si troverebbero. Ad esempio spedendo ad ogni pensionato oggetto di decurtazione un cedolino fatto bene, con tutte le spiegazioni necessarie e per tali intendo spiegazioni utili a capire il motivo della pensione dimezzata con tanto di conteggio chiaro e semplice non con diciture ostrogote per tutti anche per gli operatori Urp. Questo cedolino- comunicazione dovrebbe essere visibile on line e facilmente consultabile.

Eppure si parla tanto di comunicazione e di immagine dell'INPDAP ma chi scrive i cedolini delle pensioni o altre comunicazioni con linguaggio ostrogoto ha mai pensato al danno che fa all'Ente e a chi ci lavora?


Grazie Michela Pucci

By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 83

martedì 17 febbraio 2009

Brunetta il copione


Uno dei pochi testi scientifici firmati dal ministro anti-fannulloni è letteralmente plagiato da un ben più noto studio americano del 1980.

Non sarà un fannullone, ma un pò copione sì. Il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta, docente di Economia, ha pubblicato nel 1987 (editore Marsilio), assieme ad Alessandra Venturini, una delle sue (poche) opere scientifiche, Microeconomia del lavoro.
Ora che il politico veneziano ha toccato i vertici della notorietà, non lesinando le critiche ai dipendenti pubblici nullafacenti, insegnanti inclusi, qualche suo (ex) collega è andato a riprendesi il trattatello. E ha scoperto, già a un primo sguardo, che interi brani erano letteralmente tradotti o parafrasati, e numerosi grafici ricopiati pari pari, da un più noto testo americano del 1980 (Labor Economics, prima edizione del 1970, edito da Prentice-Hall, Inc.) dei professori Belton M. Fleisher e Thomas J. Kniesner.
Qualche esempio? A pagina 96 del Brunetta-Venturini c'è la copia identica, con gli stessi valori numerici, della figura pubblicata a p. 50 del Fleisher-Kniesner; grafici plagiati si trovano anche alle pagine 104, 108, 112, 240, 242, 243, 245 del manuale italiano; a p. 100 alcune righe sono puntualmente tradotte dal testo Usa (p. 50); a p. 101 c'è una riga tradotta e un lungo brano parafrasato da p. 56 del volume d'oltreoceano; a pagina 153 c'è una nota con citazioni bibliografiche identica alla nota di p. 87 del testo americano; e via elencando. Fin qui al peccato brunettiano si può concedere un'attenuante: il suo libro non è un'opera scientifica da Nobel (anche se lui va in giro dicendo di essere uno dei più bravi economisti del lavoro d'Italia, anzi d'Europa) ma un manuale: inevitabili i debiti di riconoscenza verso gli autori che l'hanno preceduto sullo stesso terreno.

Ma c'è anche un'aggravante assai più pesante: nell'amplissima bibliografia contenuta nel suo volume Brunetta si dimentica di citare Labor Economics. Dimenticanza imperdonabile, specie dopo un così esteso saccheggio.


By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 82

lunedì 16 febbraio 2009

Accadde Oggi
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16 Febbraio 1915
L'Italia si prepara a entrare in guerra

Il Generale Ricciotti Garibaldi si reca in visita a Londra, allo scopo di appianare le difficoltà esistenti e preparare l'intesa per l'ingresso dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale.
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Se 35 mila euro al mese vi sembrano pochi

È cosa risaputa che gli europarlamentari italiani siano i più pagati d'Europa. Un calcolo preciso delle voci in busta paga rende la sproporzione ancora più evidente. Ogni mese di indennità gli italiani incassano 11.703,64 euro. Gli austriaci, secondi in classifica, dal 1 luglio del 2008 arrivano a 8.160 euro, poco più dei tedeschi (7.339), dei francesi (6.952) e degli olandesi, fermi a 6.949 euro mensili. Gli spagnoli da marzo scorso pigliano 3.126 euro, quattro volte meno degli italiani.
Persino i sei deputati del ricco Lussemburgo, pur lavorando il doppio, prendono la metà dello stipendio riservato ai nostri eletti. In fondo alla classifica si piazzano i nuovi entrati bulgari, che in busta paga si ritrovano appena 900 euro. L'indennità è solo una delle tante entrate. Oltre agli 11.703 euro i nostri hanno diritto a 4.052 euro mensili per le 'indennità di spese generali': soldi che servono a coprire le uscite effettuate in Italia per l'ufficio, i viaggi, il telefonino, computer, francobolli e altro. Una voce che, in caso in un anno il deputato faccia più del 50 per cento di assenze in plenaria, viene ridotta della metà. A meno che, come a scuola, non possa "giustificare le proprie assenze".
Gli spostamenti da e verso Strasburgo e Bruxelles vengono rimborsati con un'indennità forfettaria. Per incassarla non c'è bisogno nemmeno della ricevuta: per l'aereo basta presentare la carta d'imbarco. In più, quando si parte in veste di relatori o per conferenze, si ha diritto a 'un'indennità di viaggio annuale' da "massimo 4 mila euro". Ogni deputato riceve inoltre 287 euro al giorno per vitto e alloggio: la somma viene versata solo se l'europarlamentare firma il registro delle presenze e, in media, sono altri 1.435 euro al mese.
Infine il Parlamento rimborsa i collaboratori personali "selezionati a discrezione dei deputati" per un importo massimo di 16.914 euro mensili. Non male: a conti fatti, il budget mensile dei 78 parlamentari italiani supera i 35 mila euro al mese.

Dalla prossima legislatura, però, i nostri dovranno stringere la cinghia: tutti gli eurodeputati avranno uno stipendio identico di 7 mila euro, e il loro budget scenderà ad appena 30 mila euro al mese.



By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 81

giovedì 12 febbraio 2009

Accadde Oggi
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12 Febbraio 1980

Ucciso Bachelet

I terroristi uccidono il vicepresidente del Csm e professore di diritto amministrativo all'Università di Roma Vittorio Bachelet.
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Razzismo, informazione e politica




Il recente episodio del "barbone" indiano bruciato nella stazione ferroviaria di un paese laziale, pone un forte interrogativo sulla sensibilità e il livello culturale generale del nostro Paese. In televisione abbiamo sentito dei commenti di tipo diverso sulla personalità dei giovani sciagurati che hanno commesso quell'efferato crimine, che solo per un miracolo non è finito in tragedia. Fa specie tuttavia che qualcuno, abbia parlato, come al solito, di "mele marce" o di persone particolari senza affrontare il problema del sottofondo culturale e dell'origine socio-culturale di simili episodi. La mia sensazione infatti è che ridurre l'episodio ad un fatto isolato non sia la giusta spiegazione e non serva a nulla. Non ce l'ho particolarmente con le persone responsabili del fatto che, fatte salve le loro pesantissime responsabilità penali, vedo più come vittime che come carnefici. Voglio invece considerare il contesto culturale in cui un fatto del genere avviene. Il contesto, per la stragrande maggioranza dei nostri concittadini, è dato dai giornali e dalle televisioni. Quando però si sente affermare da insigni rappresentanti del popolo sulla stampa e la TV che gli immigrati vengono da luoghi dove non vi è storia né cultura, si ha l'impressione che qualche cosa nel livello culturale di chi ci rappresenta sia gravemente carente. Se poi si considerano i diversi trattamenti che vengono riservati a certe notizie dalla stampa, e cioè che gli stupri fatti dai nostri connazionali hanno molta minor visualizzazione giornalistica (vedi quello di Capodanno) di quelli consumati da stranieri e romeni, si può percepire quale è il quadro divulgativo di tali pur ignobili episodi. Se poi sentiamo quotidianamente da alcuni esponenti politici, che sventolano come loro bandiera e programma politico il contrasto diretto e dichiarato verso esseri umani di origine diversa da noi, allora è evidente la responsabilità di quella sub-cultura, che pretende di essere legittimata per il solo fatto che alcuni esponenti politici che la propongono sono oggi addirittura al governo del Paese. Boicottare i ristoranti etnici, rivedere in modo tendenzioso la normativa sulla residenza, far proliferare ordinanze in materia di ordine pubblico che tuttavia hanno ben dichiarati obiettivi, dichiararsi "padroni a casa nostra"; indicare sistematicamente le moschee come luoghi di eversione e come covi di progetti criminali e dunque opporsi alla realizzazione di luoghi di culto musulmani, altro non è che propagandare una società nella quale chi è più forte prevale e prevarica, mentre chi è più debole deve subire certi suoi attacchi. Se poi si dichiara che contro l'immigrazione (che quasi sempre all'inizio è clandestina), il ministro Maroni dice che bisogna essere cattivi, si comprende tale contesto. In questo clima, giovani ragazzi nati in ambienti culturali non certo di livello elevato non possono che assimilare modelli di discriminazione, di tensione e di odio, forti delle parole di ministri e parlamentari ai quali purtroppo fa puntuale eco l'informazione dei media.


Se queste sono le premesse, credo che sia a questo punto compito della politica, o per lo meno di chi la politica la intende come un impegno sociale per l'elevazione della persona umana e il progresso sociale, combattere fortemente e in maniera autenticamente democratica chi fa invece della sopraffazione e della discriminazione il proprio modo e sistema di vita, nonché il proprio programma politico.



By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 80

mercoledì 11 febbraio 2009

Accadde Oggi
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11 Febbraio 1929

I Patti lateranensi

Vengono stipulati tra tra lo Stato italiano e la Santa Sede i Patti lateranensi. Attraverso il Concordato, Mussolini porta così dalla sua parte l'ultimo centro di potere rimasto fino ad allora estraneo alla "diarchia" Re-Duce.La proclamazione della conciliazione fra Stato e Chiesa coglie di sorpresa i contemporanei, perché si tratta di uno dei pochi aspetti della politica italiana su cui il segreto è mantenuto fino in fondo. In realtà l'accettazione, da parte del Vaticano, dello Stato liberale moderno si è già configurata con il patto Gentiloni e si era poi concretizzata del tutto con la nascita del Partito Popolare; inoltre la comune posizione anti-comunista e anti-sovversiva ha spinto dalla stessa parte della barricata fascismo al potere e Chiesa cattolica; ed il segnale più evidente di acquiescenza della Chiesa al fascismo era stato l'ordine di scioglimento del Ppi.

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La Costituzione russa di Moro e De Gasperi



Nei giorni scorsi il Presidente del Consiglio ha affermato che la Costituzione è “una legge fatta molti anni fa sotto l’influenza della fine di una dittatura e con la presenza di forze ideologizzate che hanno guardato alla Costituzione russa come a un modello”. L’affermazione di Berlusconi non è affatto nuova. L’11 aprile del 2003 Berlusconi affermava: “Mi sono più volte anche pubblicamente lamentato del fatto che la nostra legge fondamentale dà alle imprese poco spazio”. E ancora: “La formulazione dell’articolo 41 e seguenti risente delle implicazioni sovietiche che fanno riferimento alla cultura e alla costituzione sovietica da parte dei padri che hanno scritto la Costituzione”. Ecco il testo dell’art. 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Sotto il precedente governo Berlusconi furono approvati vari cambiamenti alla Costituzione. Essi furono clamorosamente bocciati col referendum del 25/26 giugno 2006: votanti 52.3%, sì 38.7%, no 61.3%. Il 27 dicembre 2008, a proposito di giustizia e federalismo, Berlusconi aveva ribadito la volontà di cambiare la Carta. Oggi c’è l’attacco alle garanzie costituzionali che limitano la possibilità di emanare decreti legge solo ai “casi straordinari di necessità e urgenza” (art. 77). Tali garanzie sono una barriera a qualsiasi tentativo di qualsiasi governo di imporre qualsiasi legge con l’approvazione del parlamento “a posteriori”. Ma la Costituzione è del 1948, “molti anni fa”. Quella americana entrò in vigore nel 1788 e nessuno si sognerebbe di dire che è “vecchia”. La Costituzione italiana fu scritta e approvata da una Assemblea Costituente in cui c’erano comunisti, socialisti, democristiani, liberali, repubblicani. Da Togliatti a Nenni a Einaudi a De Gasperi a Benedetto Croce ad Aldo Moro.


Personalità davanti a cui molte di quelle attuali, con rispetto parlando, fanno ridere (o piangere).


Rimangono due fatti.

Primo: la funzione di garanzia del Presidente della Repubblica è ineliminabile.
Secondo: la volontà popolare espressa tre anni fa vieta qualsiasi stravolgimento della Costituzione.


By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 79

martedì 10 febbraio 2009


Accadde Oggi
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10 Febbraio 1947
L'Italia firma il trattato di pace

Alle undici esatte del mattino, nel Salone dell'Orologio del Quai d'Orsay a Parigi, si svolge la fredda cerimonia della firma del trattato di pace fra I'ltalia e le Potenze Alleate ed Associate. Alla stessa ora, tutta l'Italia si ferma per dieci minuti in segno di protesta. Al momento della firma, il marchese Lupi di Soragna legge la seguente dichiarazione: "Il Governo italiano appone la sua firma al Trattato subordinandola alla ratifica che spetta alla sovrana decisione dell'Assemblea Costituente alla quale è attribuita dalla legislazione italiana l'approvazione dei Trattati internazionali". Il trattato, quindi, passerà al vaglio dell'Assemblea Costituente per la ratifica, ma Sforza e De Gasperi vengono bersagliati dalle severe critiche della stampa e dell'opinione pubblica.
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La grammatica violata


BENEDETTO Croce, coltissimo e ricco signore con largo ascendente nella cultura novecentesca, aveva manifestato qualche vaga simpatia al fascismo emergente, castigatore delle mattane sovversive, ma cambia avviso vedendo come il castigamatti s'impadronisca dello Stato, in barba all'etica liberale. Da allora impersona un implicito dissenso, rispettato dagli occupanti perché ogni soperchieria sul papa dell'idealismo italiano guasterebbe l'immagine fascista; Mussolini non è Hitler. I numeri bimestrali della "Critica" hanno devoti lettori, bollettino d'una sommessa opposizione. Privatamente circolano battute spiritose. Sentiamone una, cosa sia il regime mussoliniano: un governo degli asini "temperato dalla corruzione". Era formidabile conversatore, spesso feroce, ad esempio nell'arrotare un ex pupillo rumoroso e rampante diagnosticandogli "priapismo dell'Io". Varrà la pena spiegare in qual senso sia peggiore l'attuale governo onagrocratico (dal latino "onager", asino selvatico). Qui notiamo come la natura asinina sfolgori nel protocollo d'intesa 26 novembre 2008: i partner sono due ministri; lo scassasigilli era segretario particolare del sire d'Arcore, padrone d'Italia nei prossimi 12 o 17 anni se gli spiriti animali gli durano; l'altro, ministro innovatore dalle frequenti epifanie, ha appena annunciato che domerà gli statali col bastone e la carota. I due s'intendono sul seguente disegno: allestire una memoria informatica universale dove confluiscano tutti gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria (il grosso delle indagini preliminari); e la covi il ministro, eventualmente mediante appalti esterni (in lessico tecnicoide outsourcing); why not? (logo d'un allegro affarismo), l'affidi a imprenditori della galassia Mediaset, visti i luminosi precedenti Telecom. Il lettore domanda perché definiamo asinina un'idea sinistra (tra Gestapo e Millenovecentottantaquattro, l'incubo narrato da George Orwell): l'asino è animale mite; vero, ma ignorante e luoghi comuni probabilmente falsi lo dicono poco intelligente. Qui sta l'aspetto onagrocratico, e tutto sommato benefico, svela piani che menti più sottili dissimulano. Sappiamo dove miri Re Lanterna, tre volte vittorioso nella fiera elettorale grazie all'ordigno televisivo che consorterie tarate gli hanno venduto: pretende nello Stato un dominio quale esercitava nell'impero privato (e presumibilmente lo esercita, essendo piuttosto anomala la metamorfosi dei vecchi pirati in asceti); i limiti normativi gli ripugnano; caudatari in divisa o pseudoneutrali chiamano "decisioni" gesti padronali nemmeno pensabili in chiave politica. Gli sta a pennello la definizione crociana (priapismo dell'Io), con una terribile differenza in peius: quel letterato era persona d'intelletto fine, narciso inoffensivo, acuto patologo del fascismo; lui no, ha plagiato parte d'Italia e vuol comandarla tutta, attraverso l'abbassamento dei livelli mentali. Appena rimesso piede al governo, s'è proclamato immune dai processi penali, quindi invulnerabile su ogni episodio passato o futuro, qualunque sia il nomen delicti; i suoi piani escludono futuri rendiconti elettorali pericolosi, ma l'organismo collettivo ha ancora difese immunitarie (Carta, leggi, codici, tribunali, magistratura); e volendole disarmare, blatera d'una giustizia da riformare, l'ultima cosa della quale occuparsi mentre il paese va in malora, affogato nella crisi planetaria, e lui s'ingrassa. Aborre l'azione penale obbligatoria e il pubblico ministero indipendente: lo vuole diretto dal governo; il che significherebbe impunità pro se et suis, con duri colpi all'avversario molesto. Tale l'obiettivo ma l'idea è cruda: gliela contestano anche degli alleati; e i negromanti indicano una via indiretta, meno vistosa, lasciare intatto l'ufficio requirente, affidando le indagini alla polizia, diretta dal potere esecutivo. Quante volte l'ha detto: diventerà avvocato dell'accusa, ridotto alla performance verbale o grafica; cervelli polizieschi investigano e la relativa mano raccoglie le prove (sotto l'occhio governativo). A quel punto sarà innocua la bestia nera. Il tutto sine strepitu: due o tre ritocchi appena visibili; se vi osta l'art. 109 Cost. ("l'autorità giudiziaria dispone direttamente" dell'omonima polizia), basta toglierselo dai piedi; l'art. 138 ammette delle revisioni; nelle due Camere se la combina quando vuole, avendo i numeri; e poco male fosse richiesto un referendum confermativo. Nessuno gli resiste nelle tempeste mediatiche. Con tre reti televisive vola sulla luna. Riconsideriamo l'aspetto asinino. Il protocollo 26 novembre 2008 grida quel che Talleyrand e Fouché, molto più fini, terrebbero sub rosa, e lo fa in termini grossolani, ignari dell'elementare grammatica legale. Non è materia disponibile mediante circolari o intese ministeriali. La regolano norme codificate: la documentazione degli atti d'indagine avviene in date forme (art. 373); e sono coperti dal segreto finché "l'imputato non ne possa avere conoscenza" (art. 329); e la polizia deve spogliarsi dei verbali, reperti, notitiae criminis, trasmettendoli al pubblico ministero (art. 357). Secondo le attuali regole, i due confabulanti esigono dei delitti dalla polizia (artt. 326, 379-bis, 621 c. p.). E chi escogita questo serbatoio penale, violabile dagli hackers ma comodo in mano al ministro e servizi segreti? I campioni della privacy, furenti quando, straparlando al telefono, finiscono nella memoria acustica corruttori, corrotti, concussori, pirati societari e simili faune.

Fonte: FRANCO CORDERO



Ringrazio per segnalazione dell'articolo Giovanni Fabiano.


By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 78

lunedì 9 febbraio 2009


Accadde Oggi
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9 Febbraio 1849
La proclamazione della Repubblica romana

Fuggito Pio IX, i democratici assumono il controllo di Roma e proclamano la Repubblica romana e la decadenza del potere temporale del papa.
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Zapping urlato tra parolacce e fatti di cronaca


Di questi tempi, ad accendere la tv a casaccio c'è da stare attenti, che si rischia d'essere colpiti da bicchieri volanti e stracci intrisi di accuse. I primi sono partiti dalle mani dell'isterica Federica verso Gianluca, nella “Casa” sospesa tra rissa da bettola e sveltine da camping, in linea con il livello d'un programma che più fa ascolti, più mi provoca conati da intolleranza. I secondi invece, quegli stracci sempre più frequenti nella corrente comunicazione via antenna, sono partiti direttamente dalla voce di Silvio Berlusconi in diretta dal suo Mattino Cinque, memori di “rubli sporchi di sangue” e comprensivi di “fallito e incantatore di serpenti” per il silente Renato Soru. Stracci pesanti, in un panorama informativo dove l'accusa di “conflitto d'interessi” rivolta all'ex governatore sardo candidato per la stessa carica, sembrano proprio la parabola del bue che dice cornuto all'asino. Schiaffi da torturatore mediatico, un pò come i ceffoni affibbiati per anni alla fidanzata succube da Francesco Coratella, ex tronista di Uomini e Donne arrestato ad Andria appena uscito dal cast. Per la notizia tv del giorno - la Balivo vincente contro Ris 5 - basta un “e chi se ne frega”. Per il resto invece, se Scajola può usare Ballarò da tribuna del livore, mi chiedo chi darà per primo a Soru quel diritto di replica che gli spetta.

O dovremmo attenderci Moira Orfei con un fachiro “incantatore di serpenti”?


By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 77

venerdì 6 febbraio 2009


Accadde Oggi
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6 Febbraio 1853

Insurrezione antiaustriaca a Milano

Scoppia a Milano un'insurrezione antiaustriaca, soffocata però dagli austriaci nel giro di poche ore, col seguito di numerosi arresti e condanne a morte.
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Dio salvi la Regina e i lavoratori italiani


Il lavoro è poco. Punto e basta. E quando è poco tutti i bei discorsi sulla delocalizzazione virtuosa, la globalizzazione “buona” e il mercato unico evaporano, lasciando il posto alla disperazione di chi ha perso il proprio posto e, letteralmente, non sa come arrivare a fine mese. Qualcuno, tutti i giorni in tutto l’Occidente, perde il necessario per vivere ed è ovvio e che la sua rabbia si scateni contro chi, straniero nel suo paese, un lavoro invece ce l’ha. Nulla è più comprensibile, soprattutto qui, in Europa, le cui istituzioni non hanno mai cercato davvero una unificazione dei popoli e si sono accontentate alla fusione senz’anima delle monete. Noi europei continuiamo ad essere stranieri l’un l’altro. Per questo la protesta dei lavoratori inglesi contro gli italiani, non sarà l’ultima: domani potremmo essere noi ad inveire contro gli immigrati di colore, gli spagnoli contro i portoghesi, i tedeschi contro i turchi in un crescendo di rabbia difficile da arginare. Rabbia, non razzismo né intolleranza: chi continua a insultare i lavoratori che si sono ritrovati da un giorno all’altro senza uno stipendio con questi epiteti vuole solo archiviare un fenomeno che non capisce. Chiamare chi perde un lavoro razzista è una scappatoia facile per i sociologi da salotto che non si rendono conto di che cosa significhi non avere una speranza per il futuro. Non è un problema sociologico, ma sociale al quale occorre dare una risposta economica. E in fretta. Già, ma quale? Chiudere le frontiere alle merci (come sta facendo Obama) e alle persone sarebbe il peggiore dei rimedi, perché il vero problema non è “chi lavora dove”, ma quanto lavoro c’è. Se è poco, e purtroppo a breve non è previsto che aumenti, l’unica soluzione è suddividerlo tra più persone, ovvero ridurre l’orario di chi ha ancora un’occupazione. La proposta delle quattro giornate settimanali è una buona proposta perché permette alle fabbriche di non chiudere e alle persone di continuare ad avere un lembo di dignità e di stipendio per poter far fronte alle difficoltà della recessione senza pesare sui conti pubblici del proprio Paese.


La decisione di portare la settimana lavorativa a quattro giorni (o ridurre sensibilmente l’orario di lavoro mantenendo le cinque giornate) deve però essere concordata in ogni singolo Paese dagli industriali e dai sindacati e adottata dal maggior numero dei Paesi europei con il suggello della Commissione. Solo che quando serve, l’Europa non si trova mai.

By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 76

giovedì 5 febbraio 2009


Accadde Oggi
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5 Febbraio 1917

La nuova Costituzione del Messico

La nuova Costituzione degli Stati uniti messicani, oltre a tendere alla soppressione dei privilegi del clero (titolo VI), è caratterizzata da un orientamento fortemente socialista, particolarmente esplicito nell'articolo 27, nel quale si prevede che la proprietà della terra appartiene allo stato, il quale ha il diritto di cederla ai privati. Tutto il titolo VI, inoltre, riguarda il diritto al lavoro ed alla previdenza sociale, compresi dunque i diritti sindacali ed il diritto di sciopero.
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Se Bossi sbanca lo Stato

Secondo l'ultimo comma dell'articolo 81 della Costituzione ogni legge "che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte". È ormai consolidata opinione che proprio la sistematica violazione di questa elementare regola contabile da parte dei legislatori abbia provocato i maggiori guasti della finanza pubblica, a cominciare dall'abnorme montagna di debito. Nell'escogitare trappole con le quali aggirare il disposto costituzionale le Camere hanno dimostrato, di volta in volta, un'inventiva fertilissima, ma il trucco più abusato è sempre stato quello di sottostimare (talora clamorosamente) l'onere effettivo delle leggi di spesa ovvero di sovrastimare (spesso spudoratamente) il gettito dei provvedimenti fiscali assunti per offrire una copertura finanziaria alle nuove o maggiori uscite.Con il voto del Senato sulla normativa che introduce il federalismo fiscale si è compiuto un ulteriore e più grave passo di conclamata indifferenza verso gli equilibri di bilancio. Nel senso che non ci si è nemmeno preoccupati di fare finta di credere in una stima, magari manipolata, del saldo finanziario fra entrate e uscite del nuovo sistema. Perfino il ministro dell'Economia, chiamato a dire la sua in proposito, se l'è cavata definendo "imponderabili" gli oneri della legge. Valutazione che, in un paese normale, avrebbe dovuto indurre un governo responsabile a dichiarare la sua contrarietà all'approvazione di un testo siffatto. Ciò non è avvenuto e un Senato disinvolto ha dato il suo semaforo verde e non con il solo voto favorevole della maggioranza. Fatto politico importante, l'opposizione di sinistra - che pure aveva sollevato con forza il problema degli oneri per il bilancio - si è alla fine limitata a un voto di astensione, mentre soltanto gli Udc di Casini hanno espresso un chiaro no. Non c'è da stupirsi che i ministri leghisti presenti al misfatto - da Bossi a Calderoli passando per Maroni - abbiano manifestato una gioia incontenibile per questo primo passo verso quello che è da sempre l'obiettivo politico fondamentale del loro partito: chi se ne frega, in fondo, se i conti dello Stato si scassano ma la bandiera federalista può finalmente sventolare. Già molto meno spiegabile, invece, è la posizione del presidente del Consiglio il quale, per chiudere la partita sui costi, ha assicurato che il federalismo fiscale porterà a una riduzione delle tasse. Non si sa da dove Silvio Berlusconi ricavi simile convincimento, ma prendiamolo pure in parola. Ciò significa che vi sarà una riduzione delle entrate e allora dove stanno i correlati tagli di spese, visto che neppure le province vengono contestualmente abolite? Senza volerlo, il Cavaliere ha dimostrato che il problema dei costi e dei ricavi è più che mai aperto.
Ciò che più sconcerta, comunque, è l'atteggiamento dell'opposizione di sinistra. Tutti hanno capito che i diessini puntano a ottenere in cambio un distacco dei leghisti da Berlusconi su altri temi, in particolare sulla riforma della giustizia. Posto che si tratti di un calcolo fondato e motivi per dubitarne non mancano, il gioco vale la candela di un'ennesima spallata ai conti pubblici?



Fonte: L'Espresso



By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 75

mercoledì 4 febbraio 2009


Accadde Oggi
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4 Febbraio 1794
La Francia rivoluzionaria abolisce la schiavitù

I montagnardi, guidati dalle idee di Robespierre e dell'abate Grégoire e messi alle strette dalle conquiste inglesi, decretano la fine della schiavitù.
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Pari opportunità, stipendi donne -4.000 euro rispetto a uomini

Ammonta a 4.000 euro lo scarto annuale fra le retribuzioni medie delle donne e degli uomini, una differenza del 16 per cento che penalizza la forza lavoro femminile. Lo afferma il rapporto dell'Eurispes presentato oggi. Gli uomini si collocano in media su 28 mila euro l'anno, le donne su 24 mila. Nelle retribuzioni medie lorde di uomini e donne emergono significative differenze: si va da un minimo dell'1,7% nelle professioni meno qualificate ad un massimo del 20,8% degli operai specializzati. Stessa situazione per le mansioni intellettuali, dove la differenza media di reddito arriva al 18,8%. Così pure nelle professioni tecniche (17,7%) e nelle attività commerciali (13,4%). Per arrivare a una quasi parità bisogna puntare al settore impiegatizio (negli uffici lo scarto si riduce fino al 3,9%) o a quello della dirigenza (3,3%). Un capo maschio guadagna in media 92.670 euro, contro gli 89.750 euro percepiti da una donna.Il rapporto conferma anche come la maternità continui a essere un handicap per il lavoro delle donne. Nel primo semestre del 2008, il 65,7% delle donne è convinto che il lavoro o la carriera costringano molte donne a dover rinunciare o rimandare la maternità. E una donna su nove, nel 2006, è uscita dal mercato del lavoro momentaneamente o definitivamente dopo la nascita di un figlio.


By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 74

martedì 3 febbraio 2009


Accadde Oggi
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3 Febbraio 1966

La navetta sovietica Luna 9 effettua il primo allunaggio
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Attenzione, a Sinistra del PD strada sbarrata


L’accordo sull’introduzione di uno sbarramento del 4% per i partiti che parteciperanno alle prossime Europee rafforza una tendenza di fondo del nostro bipolarismo che viene spesso ignorata, e che i pensatori classici catalogherebbero sotto la voce “democrazia consociativa”. Non un male in assoluto, sia chiaro: a patto, però, che essa sottenda un dialogo costante tra maggioranza e opposizione, cosa che in Italia sembra parecchio di là da venire considerato l’elevatissimo tasso di conflittualità esistente tra i poli. Su un bipolarismo rozzo e immaturo s’innesta, dunque, una dinamica evolutiva del tutto incoerente: come indossare un impeccabile smoking senza camicia e sulle scarpe da tennis. Ci può anche stare, ma l’effetto è pessimo. Un ulteriore elemento di perplessità - al netto di ogni considerazione politica in senso stretto - riguarda tempi e modalità dell’operazione: troppo stretti i primi, troppo raffazzonate le seconde. Nelle democrazie evolute i sistemi elettorali sono, per loro natura, perfetti perchè generati da processi politici di lunga durata: quelli ibridi sono destinati solo a generare torsioni innaturali del principio di rappresentanza. Quello che uscirà dalla legge di riforma che approderà a Montecitorio mercoledì prossimo ha fin da ora l’aspetto di un mostriciattolo, sul modello del Mattarellum e del Porcellum. Innestando su un proporzionale puro uno sbarramento così alto, infatti, si assegna surrettiziamente una sorta di premio di maggioranza a priori (il voto utile), equamente suddiviso tra i due maggiori partiti: di qui l’accusa, che comincia a circolare, di legge truffa. Più che a destra del Cavaliere, il nuovo sistema elettorale rischia di provocare un’ecatombe a sinistra di Veltroni: per consolidare il bipartitismo, socialisti, comunisti e verdi italiani (insieme con i radicali) saranno tagliati fuori dall’Europa. A meno che non decidano, per sopravvivere, di abbracciare la filosofia liquida dei loro fratelli maggiori, Pdl e Pd: accantonare gli irrigidimenti identitari e formare un cartello elettorale per superare lo sbarramento. E, una volta a Strasburgo, ognuno per la propria strada.
A trionfare, a quel punto, sarebbe non l’assetto bipolare alla cui costruzione dicono di lavorare Berlusconi e Veltroni, ma una “democrazia della convenienza” o della “non appartenenza”, questa sì senza eguali nel resto del continente.



By Angelo Stelitano

La Chicchetta - 73

lunedì 2 febbraio 2009


Accadde Oggi
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2 Febbraio 1943

Seconda guerra mondiale: con la resa della VI armata del feldmaresciallo Friedrich Paulus ha termine la Battaglia di Stalingrado.

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Due o tre settimane fa il settimanale francese Le Point aveva un servizio su tre pagine vistosamente titolato "Perchè il clown Berlusconi continua a sedurre". Dopo quindici anni di assuefazione, ci siamo abituati all'uomo e ai suoi modi. Personalmente ne avverto ancora la rozzezza ma non reagisco più come mi accadeva di fare all'inizio. All'estero è diverso. Nel servizio del settimanale francese le gaffe internazionali del nostro venivano elencate, però senza astio, una specie di piccola curiosità aggiuntiva, un'ulteriore mano di colore sul personaggio. I giornali tedeschi intanto si chiedono, sogghignando, se per il prossimo G8 sono previste sfilate di miss in bikini. Lo scrittore spagnolo Javier Marias nel suo Il tuo nome è domani (Einaudi 2003) fece uno sferzante ritratto del Nostro scrivendo tra l'altro: "Quando incontra altri capi di governo, si capisce che in fondo si sente un intruso, ed è il suo atteggiamento disinvolto e allegro a tradire la sua insicurezza: è come se temesse che in qualsiasi momento possa entrare un Ciambellano e sussurrargli all'orecchio, con discrezione, che è stato commesso uno spiacevole errore e che deve lasciare il salone, l'ufficio, il pranzo, il vertice, il ballo. La sua eterna soddisfazione e disinvoltura sono eccessive". Non so se Marias abbia ragione. La mia ipotesi è che la sua allegria eccessiva dipenda piuttosto dal pensiero di essere il più ricco in mezzo a tutti quei capi di Stato e di governo e di poter disporre del suo paese come loro nemmeno si sognano, vincolati come sono dalle regole della democrazia.


Fonte: Corrado Augias


Ringrazio per segnalazione dell'articolo Giovanni Fabiano.


By Angelo Stelitano


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