La Chicchetta - 163

lunedì 6 luglio 2009

Lei non sa chi siamo noi



Si può fare politica estera senza averne una. Produrre atti e documenti non per uno scopo, ma per numerarli secondo protocollo. Il risultato non conta. Ma a fine giornata si può ben dire di aver fatto qualcosa. Gli psicologi la chiamano terapia dell'occupazione. È l'esercizio in cui il nostro Paese eccelle da almeno un ventennio. Da quando abbiamo perso i riferimenti che segnavano il nostro posto nel mondo: Nato, Europa e Vaticano. Eravamo atlantici, europeisti e vaticani, ma sempre all'italiana. Nell'ordine della guerra fredda, riuscivamo a irrorare la triplice radice della nostra collocazione geopolitica con qualcosa di nostrano (mediterraneismo, Ostpolitik ed eresie minori, tutte tollerabili dalla potenza leader americana). Oggi non più. Non per colpa di qualche maligno tratto del carattere italiano, ma solo perché le tre stelle della nostra costellazione sono spente. All'anagrafe risultano, certo, ma non irradiano più alcuna missione. Oppure ne producono di totalmente cacofoniche.Per i nostri leader politici - e in genere per la classe dirigente italiana, se questo termine ha senso - resta difficile valicare il passo alpino che separa l'eterodirezione ben temperata della guerra fredda dal 'mondo apolare' attuale. Non esistono fari né modelli da seguire, rispetto ai quali all'occorrenza scartare, sapendo di restare comunque nel gruppo. Ci arrangiamo. Talvolta cavandocela, talaltra producendo mezzi miracoli, più spesso slittando nel ridicolo.La stella polare della politica estera italiana dal 1861 in poi è stata il tentativo di essere riconosciuta dalle grandi potenze almeno come sorella minore. Se non gemella (Crispi, Mussolini), nel qual caso l'alternativa è tra farsa e tragedia. La variante oggi dominante di questa sindrome è la politica della seggiola. I nostri miti dirigenti politici e diplomatici si scoprono feroci quando occorre proteggere una rendita di posizione. Purtroppo, non si tratta di rendite geopolitiche o economiche che corrispondano a un interesse nazionale, ma di posti alla tavola dei parenti importanti. Sedie o predellini non importa, purché ci diano l'illusione di essere omologhi a chi non è mai sfiorato dall'idea di considerarci tali. Così quando i nostri governi di centro-sinistra o di centrodestra pretendono di allinearci ai Grandi d'Europa, quasi appartenessimo alla categoria di Francia, Gran Bretagna e Germania. O quando inventiamo barocche ipotesi di riforma del Consiglio di sicurezza pur di impedire a Germania e Giappone di entrarvi senza di noi. In questo caso riscuotendo un provvisorio successo, che purtroppo non ha innalzato di nulla la nostra influenza nel mondo. Infine, quando cerchiamo di dare un senso al G8, anche se il G8 un senso non ce l'ha. Però lì abbiamo il posto.L'ultima invenzione, praticata dal governo di centrodestra, consiste nel battezzare politica estera le relazioni private del nostro primo ministro. Sia chiaro: la diplomazia personale è importante. È un valore aggiunto. Ma solo per chi dispone di una strategia nazionale. Una persona, per quanto geniale, non può sostituire una politica. Corollario di tale interpretazione personalistica è il declassamento della tecnocrazia (Farnesina e non solo) e la svalutazione del ceto politico formalmente delegato a curare i nostri interessi nel mondo. Non è un fenomeno solo italiano, ma noi ne abbiamo distillato la versione più pura. Anche per questo se prima contavamo poco, oggi contiamo meno. Risultato: le decisioni su di noi sono prese altrove, o non sono prese affatto. Nessuno lo sa meglio dei nostri operatori sulla scena internazionale (diplomatici, tecnici, militari e financo politici), eroicamente impegnati a fingere di essere ciò che non sono, che non siamo. Una politica virtuale, ma con tutte le carte e i bolli di rigore.

Lavoro più duro non c'è.


By Angelo Stelitano


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