tasse stranissime sui carburanti
Iniziò Mussolini a introdurre 1,90 lire al litro sulla benzina per finanziare la guerra di conquista dell’Abissinia nel 1935. Nel 1956 per compensare la crisi economica derivante dalla chiusura del canale di Suez. E poi il disastro del Vajont (1963), l’alluvione di Firenze (1966), il terremoto del Belice nel ’68, quello del Friuli nel ’76 e quello dell’Irpinia nell’80; ma anche le missioni militari in Libano (1983) e in Bosnia (1996); per finire - si fa per dire, perché il tema è sempre aperto - con il rinnovo del contratto degli autisti di tram e autobus del 2004. Prese singolarmente si tratta di cifre minime, nell’ordine del millesimo di euro o di 10 centesimi, eppure messe in fila una dopo l’altra, queste dieci una tantum sono diventate col passare degli anni una massa che determina un gravame complessivo di quasi 25 centesimi, un quarto di euro, che ancora oggi pesano sul prezzo finale di ogni litro di benzina.
Non basta però: c’è anche la «tassa sulla tassa». Vale a dire che su questi 25 centesimi di euro, sommati alla vera e propria imposta di fabbricazione (definita per decreti ministeriali), viene aggiunta pure l’Iva del 20%. In soldoni: ogni centesimo di aumento sul carburante comporta un maggiore introito di circa 20 milioni di euro al mese per le casse dello Stato.
L’elenco completo comprende le seguenti accise:
1,90 lire per il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935;