La Chicchetta - 90

venerdì 27 febbraio 2009


La furia demolitrice di Brunetta



Dopo mesi di roboanti annunci, di mirabolanti promesse, di piani industriali per ridare efficienza e dignità ai servizi pubblici in questo Paese, il ddl Brunetta di riforma del rapporto del lavoro pubblico è stato definitivamente approvato al Senato. Ha ottenuto una striminzita maggioranza di 4 voti, la dichiarazione di voto contrario e l'abbandono dell'aula da parte della opposizione. Il tutto dopo una prima votazione dove era venuto meno il numero legale.Per essere un provvedimento che doveva, secondo alcuni, rappresentare il primo fulgido esempio di politica bipartisan, non c'è male davvero. E' stato invece il primo segnale positivo dato dall'opposizione di fronte ad una legge onestamente impresentabile. C'è da pensare che su questo mutato atteggiamento (solo pochi mesi fa il Pd al Senato si era astenuto), un qualche peso l'abbia avuto anche l'opposizione sociale che con forza è tornata a far sentire la sua voce con lo sciopero e la straordinaria manifestazione nazionale del 13 febbraio scorso in Piazza S. Giovanni a Roma.La crisi che ci attraversa avrebbe bisogno di un sistema di servizi più esteso, efficiente, universalmente accessibile e diffuso in tutto il territorio nazionale. Ma di questo bisogno non c'è traccia nella Riforma Brunetta.
Ciò che in effetti risulta dalla furia demolitrice del ministro è un sistema nel quale la privatizzazione del lavoro pubblico e la sua equiparazione nelle regole a quello privato non c'è più. Il lavoro sarà d'ora in avanti regolato dalla legge, dagli statuti e dai regolamenti dei singoli enti ed il contratto potrà derogare da leggi statuti e regolamenti solo per ciò che esplicitamente sia previsto dalle norme emanate. C'è da chiedersi cosa vi sia davvero dietro questa scelta, oltre all'evidente intenzione di demolire la contrattazione e con essa il sindacato e le Rsu. La vera ragione va ricercata nella volontà di attribuire alla politica la facoltà di intervenire a sua discrezione nella organizzazione e nella gestione degli apparati pubblici a fini di consenso e per finanziare spese che diventano spesso occasioni di incrocio tra gli affari e la cattiva politica. Si provi solo ad immaginare cosa può significare per un ente pubblico, determinare unilateralmente la struttura dell'organizzazione di un servizio, la classificazione del suo personale e la relativa dipendenza funzionale e gerarchica. Si pensi, ancora, alle occasioni di innesco di spesa clienterale che a ridosso di ogni occasione elettorale si creeranno quando il responsabile del singolo ente potrà con un proprio atto autonomo promuovere questo o quel gruppo di lavoratrici e lavoratori. In questo quadro il sindacato non serve, anzi è d'intralcio: «La Cgil è il mio vero grande nemico...» ha dichiarato Brunetta. A coloro che credono ancora nelle buone intenzioni di questo ministro chiedo di domandarsi se le scelte adottate miglioreranno o estenderanno i servizi ai cittadini e alle imprese. Può per questo essere sufficiente un'Autorithy le cui sole certezze sono i compensi eccedenti i tetti massimi previsti per la P.A. (che direbbe Obama che ha disposto un tetto massimo di 500.000 dollari anche per i manager privati?), del tutto svincolati dai risultati che questa Autorithy dovrebbe raggiungere? Quanto agli incentivi al merito sarebbero sufficienti le norme contrattuali se ci fossero risorse per il merito, ma l'accordo non firmato dalla Cgil il 31 ottobre 2008 stabilisce un aumento per il biennio di 40 euro medi procapite per il 2009 e di 8 euro mensili da aprile a dicembre 2008. Del resto, questo accordo, nelle sue strutture portanti, ha solo anticipato l'accordo separato sul modello contrattuale di gennaio ed è stato sonoramente bocciato dal referendum, promosso dalla F. P. Cgil. Il lavoro pubblico fa uno spaventoso salto all'indietro e con esso 60.000 precari quest'anno e circa 200.000 precari nei prossimi due anni si apprestano ad essere licenziati, sprovvisti di qualsiasi tutela e di ammortizzatori sociali e con la conseguente chiusura di servizi reali e necessari ai cittadini. Questo è quello che tiene in piazza il lavoro pubblico ormai da giugno e che ha prodotto la scelta dell'Unità anticrisi fatta dai lavoratori pubblici e meccanici che ha battuto, questo possiamo già dirlo, chi voleva dividerli. Questo Paese ha bisogno del lavoro: del lavoro pubblico come di quello privato, ma di un lavoro decente e di salari decenti, di una rete diffusa di welfare ed ammortizzatori sociali.
Persino il governatore della Banca d'Italia Draghi l'ha capito, mentre la Corte dei Conti, nel silenzio dei media, denuncia la non rispondenza tra le entrate stimate nella legge finanziaria ed il reale gettito fiscale reso noto dall'Agenzia dell'Entrate. Rovesciare il paradigma di queste politiche economiche è necessario per far ripartire il Paese, attenuare e superare le ingiustizie sociali. La riforma Brunetta va nel segno opposto ed insieme all'accordo separato del 22 gennaio ed alla prospettata manomissione del diritto di sciopero, sostanzia l'idea di una società autoritaria e corporativa.


Una prospettiva che una sinistra che non smarrisca almeno il senso delle ragioni della riduzione delle disuguaglianze si deve impegnare a contrastare. Una battaglia, questa, di cui anche la Cgil ha straordinariamente bisogno per non smarrire il suo profilo confederale.

Carlo Podda - segretario generale FP-Cgil


By Angelo Stelitano


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