La Chicchetta - 53

mercoledì 10 dicembre 2008


Please, pure io voglio andare a casa mia.

Da un pò di tempo per esprimere concetti tutt’altro che gentili, si invitano le persone che non si apprezzano ad andare a casa. Lo si dice intendendo “lasciare il proprio posto o il proprio incarico”. L’opposizione dice qualcosa che non piace a chi sta al governo? Si proclama che deve andare a casa. Qualcun altro che svolge un lavoro, ad esempio un direttore di giornale, dice o fa qualcosa che non piace al Presidente del Consiglio? Si dichiara anche in questo caso che deve (dovrebbe?) andare a casa. Non so quando il significato di questa azione, che in fondo è piacevole, ha preso questo sgradevole significato, qualcosa che sta fra lo “sparisci” ed il “levati di torno”. Più da accusa che da casa. Come se il proprio domicilio fosse una condanna, e una gogna. Una volta non era così. Quando qualcuno, al lavoro o a scuola ti diceva di andare a casa di solito voleva dire che avevi la febbre alta, e si vedeva. O che ti concedeva la giornata di festa. Oppure che sapeva che a casa, c’era bisogno di te per qualche motivo importante. Da Senofonte a Lassie, dall’ultimo dei soldati fino agli alpinisti e agli esploratori tornare a casa era la vittoria più grande. Adesso no. Dire a qualcuno che deve andare a casa è praticamente dargli dell’incapace, se non di peggio. Il che detto dall’attuale Presidente del Consiglio è curioso. Contando che è a casa, di solito, che si guarda la televisione.


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